Erano bambine, non combattenti
#Eran niñas Una campagna internazionale chiede giustizia per le due 11enni argentine uccise dalle forze paraguayane durante un attacco contro l’Epp e per la scomparsa della loro cugina di 14 anni. Secondo la madre di Lilian sono state «catturate vive, torturate, vestite da guerrigliere e poi assassinate»
#Eran niñas Una campagna internazionale chiede giustizia per le due 11enni argentine uccise dalle forze paraguayane durante un attacco contro l’Epp e per la scomparsa della loro cugina di 14 anni. Secondo la madre di Lilian sono state «catturate vive, torturate, vestite da guerrigliere e poi assassinate»
«Da quando non ci sei più, gli uccelli hanno smesso di cantare. Dove sei sorellina mia? Abbiamo promosso una campagna per te». Tra le voci che chiedono l’«apparizione con vita» della 14enne Carmen Elizabeth Oviedo Villalba, nota come Lichita, scomparsa dal 3 dicembre, la più accorata è quella della sua gemella Anahí, la cui lettera è stata diffusa dalla campagna #Eran niñas, Erano bambine: un’iniziativa internazionale di denuncia dell’assassinio delle undicenni argentine María Carmen e Lilian Mariana Villalba e, per l’appunto, della scomparsa forzata della loro cugina di 14 anni, figlia dei militanti dell’Esercito del popolo paraguaiano (Epp) Carmen Villalba e Alcides Oviedo, detenuti in Paraguay dal 2004.
LA VICENDA, che ha scosso profondamente due interi paesi, il Paraguay e l’Argentina, creando non poche tensioni tra i due governi, ha avuto inizio il 2 settembre, quando durante un’azione della Task Force congiunta delle forze armate paraguayane contro la guerriglia dell’Epp, all’interno della foresta di Ybi Yaú, nel dipartimento di Concepción, vengono uccise le cugine Lilian e María Villalba. Entrambe nate e residenti in Argentina, si trovavano nell’accampamento dell’Epp in visita ai loro parenti, insieme alle cugine Lichita, Anahí e Tania Tamara e alla loro zia Laura Villalba, madre di María, anch’esse residenti in Argentina.
Nel pomeriggio di quello stesso giorno, il presidente paraguayano Mario Abdo Benítez, figlio dell’omonimo braccio destro del dittatore Alfredo Stroessner, si era recato sul posto parlando trionfalmente dinanzi ai mezzi di comunicazione di «un’azione di successo in ogni senso» in cui erano stati abbattuti «alcuni membri dell’Epp». Con una successiva precisazione da parte del procuratore Federico Delfino: «Bisogna chiarire che purtroppo le due persone uccise sono di sesso femminile».
IL GIORNO DOPO, l’Asociación Gremial de Abogados y Abogadas de Argentina, avrebbe rivelato la verità: le due presunte combattenti non erano affatto membri dell’Epp, ma solo due bambine, le quali, in base all’esame autoptico, sarebbero state colpite rispettivamente da due (María) e otto (Lilian) proiettili sparati a meno di un metro e mezzo di distanza. La madre di Lilian, Miriam Villalba, non ha dubbi: «Lilian e Maria sono state catturate vive, torturate, vestite con le divise della guerriglia e uccise».
SECONDO HUMAN RIGHTS WATCH, per insabbiare quanto avvenuto, le autorità paraguayane avrebbero distrutto prove fondamentali, violando protocolli di indagine e norme internazionali sui diritti umani, per esempio affrettandosi a seppellire le vittime senza realizzare l’autopsia (eseguita solo in un secondo momento) e bruciando i loro abiti. «Lo Stato paraguayano – ha denunciato l’avvocata argentina dei diritti dei bambini e degli adolescenti Marisa Graham – non garantisce un’indagine indipendente ed efficace per conoscere le circostanze in cui queste bambine sono state assassinate».
Ma per la famiglia Villalba la vicenda non sarebbe finita qui. Laura e le sue tre nipoti sopravvissute all’azione dell’esercito, dopo la loro fuga, erano rimaste nascoste in montagna per 79 giorni, finché il 3 dicembre, quando Laura, Anahí e Tania avevano fatto ritorno al rifugio dopo essersi allontanate in cerca di cibo, Lichita, rimasta sola ad aspettarle per via delle ferite, non c’era più. In base alla testimonianza di un residente, un gruppo di militari se la sarebbe portata via. Di tutto il loro gruppo, a far ritorno in Argentina sono state solo Tania e Anahí.
Da allora, però, la campagna di solidarietà e denuncia Eran Niñas non si è mai fermata, acquistando risonanza internazionale. Molto forti, in particolare, le pressioni sul governo di Alberto Fernández, a cui la campagna ha chiesto di sospendere i negoziati commerciali con il Paraguay attualmente in corso e di esigere dal governo paraguayano l’autorizzazione all’ingresso di un’équipe argentina di antropologia forense in grado di garantire un’indagine imparziale, l’apparizione con vita di Lichita e l’immediata liberazione di Laura Villalba, arrestata il 24 dicembre e rinchiusa illegalmente in un carcere militare con l’accusa di offrire assistenza medica all’interno dell’Epp, malgrado viva e lavori da dieci anni in Argentina.
È qui infatti che hanno dovuto stabilirsi diversi membri della famiglia Villalba, costretti a fuggire dalla persecuzione da parte del governo paraguayano dei parenti – bambini compresi – dei combattenti dell’Epp, pur se estranei alla lotta guerrigliera.
UNA LOTTA che, benché in corso dagli anni ’90, ha cominciato ad assumere un certo rilievo a partire dal 2008, specialmente in dipartimenti come Concepción e San Pedro dove la presenza dello Stato è praticamente nulla e il tasso di povertà è il più alto del paese. E che ha raggiunto la massima visibilità con il sequestro, il 9 settembre scorso, nel dipartimento di Concepción, dell’ex vicepresidente 74enne Óscar Denis, tuttora nelle mani dei rapitori, i quali in cambio del rilascio chiedono la distribuzione di generi di prima necessità per 2 milioni di dollari alle popolazioni indigene della zona e la liberazione dei due comandanti Alcides Oviedo e Carmen Villalba, i genitori di Lichita.
ERA STATO PROPRIO IN RISPOSTA alla crescente attività dell’Epp che, nel 2013, il governo di Horacio Cartes aveva creato la Task Force congiunta, finanziata con 14 milioni di dollari annuali, ma in realtà dedita piuttosto a pratiche di contrabbando e alla repressione di indigeni e contadini, espulsi da un modello agro-esportatore che ha già distrutto il 90% delle foreste del Paese. E, ancor prima, vittime dell’illegale distribuzione di terre operata dal regime di Stroessner a favore di militari ed esponenti dell’alta borghesia: circa 8 milioni di ettari, pari a circa il 19% della superficie di tutto il Paese. Tra i beneficiari, anche il padre di Mario Abdo Benítez, esponente di quel 2,5% della popolazione che controlla l’85% della terra coltivabile.
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