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Epifanie di realtà nel mondo di Agnés che parla al nostro

Epifanie di realtà  nel mondo di Agnés che parla al nostroUna scena da «Varda par Agnés» di Agnés Varda

Berlinale 69 Fuori concorso «Varda par Agnés» della regista premiata con la «speciale» Berlinale Camera». L’irresistibile Varda in un film alla prima persona ma anche plurale, perché il cinema è dimensione collettiva

Pubblicato più di 5 anni faEdizione del 14 febbraio 2019

Ci sono tre motivi all’origine di un film, ispirazione, creazione, condivisione, lei almeno li ha sempre fatti e continua a farli per questo i film, sul palco di un teatro è la prima cosa che dice a giovani studenti di cinema. È così che comincia il viaggio tra le immagini di Agnés Varda, una lezione, o una «masterclass» come la definisce, che ci porta nel suo laboratorio di regista seguendo più che una cronologia i colpi di fulmine e i desideri di un’avventura che continua sino a oggi. Varda par Agnès è una storia alla prima persona, anche plurale,nel senso che il cinema ha una dimensione collettiva, la cui forza e fascinazione, è nel non cercare di teorizzare, come spesso accade in una qualunque «lezione». Piuttosto la regista ci porta dentro al suo «fare», nelle scelte, gli attori, le storie, come mettere la macchina da presa, in che modo usare il digitale all’inizio del nuovo millennio.

IL FILM presentato ieri fuori concorso – e a Varda è stato consegnato il premio speciale Berlinale Camera– è la chiusura perfetta per un Festival che si è voluto sintonizzare col femminile al cinema, a cominciare dal numero di registe presenti nella selezione. In realtà il programma va avanti fino a sabato – e domani c’è l’attesissimo Amazing Grace – quando si scopriranno i vincitori, ma già da ieri si respira aria di partenza, il mercato ha chiuso e pure il Daily della rivista «Screen International» ha interrotto le sue pubblicazioni. Berlino piuttosto primaverile per il periodo – si chiama global warming, nel caso ce lo fossimo dimenticati sugli schermi sono rimbalzati molti film a ricordarcelo – è tornata grigia, quasi che anche la meteo si sia sintonizzata sulla malinconia di ogni chiusura di festival – questo più degli altri visto che segna dopo quasi vent’anni la fine della direzione di Dieter Kosslick.

QUALI SARANNO i cambiamenti si scoprirà nei mesi futuri, per ora la Berlinale di Carlo Chatrian ha posticipato di due settimane le date visto l’anticipo dell’Oscar al 9 febbraio 2020; «Variety» ha pubblicato i nomi del prossimo comitato di selezione – Sergio Fant, Lorenzo Esposito, Mark Peranson, già con Chatrian a Locarno – niente di ufficiale, con smentita di Kosslick, e nessuna dichiarazione degli interessati. Fa parte del passaggio, e questa edizione lo è stata lasciando aperte diverse questioni. Per esempio: il rapporto con Netflix che la direzione Kosslick non ha escluso dalla selezione cercando di imporre una finestra più larga tra sala e streaming. Porta il marchio Netflix, Elisa e Marcela, il nuovo film di Isabel Coixet, bianco e nero e erotismo raffinatissimo che spreca una storia magnifica, l’amore tra due donne vissuto contro ogni regola dell’epoca – siamo alla fine dell’Ottocento in Spagna – e attraverso il mondo. Le due protagoniste si innamorano a scuola, sfidano i divieti delle famiglie, si ritrovano e si sposano quando una delle due si fa passare per uomo. La potenza della sensualità si impiglia in dialoghi da telenovela – seppure glamour nel bianco e nero patinato – variazioni «artie» – le due ragazze che fanno l’amore con un polpo sui seni – pure se lo sguardo di Coixet accarezza antitetico alle crofissioni voyeuriste del Kechiche di La vita di Adele.

LE MANCA energia, irriverenza, un po’ di follia. Quello che ci racconta l’irresistibile Agnés. «Nei miei film ho sempre fatto entrare la realtà» dice. Dall’appartamento Cléo (Cleo dalle 5 alle 7, 1962) esce in strada, attraversa il mondo, si toglie il cappello, davanti al riflesso di sé da «bambola» che non le piace più: «Inizia a guardare», dice Varda. È solo uno dei momenti di questo lungo incontro, Ma che film è Varda par Agnés? Un on the road, la cui geografia è tracciata dalle immagini e dall’impetuoso agire del caschetto – oggi bicolore – della Nouvelle Vague, per cui agli inizi – e forse anche dopo – non deve essere stato semplice prendere spazio in quel mondo di maschi. Lei che è sempre stata femminista, e lo è ancora oggi, le donne le ha raccontate nei suoi personaggi che ne rifondavano con umorismo ironico la rappresentazione.

IL FEMMINISMO e le lotte per l’aborto e per il divorzio, le Black Panther, Jane Birkin, le spiagge di Agnés, perché lì si incontrano tutti gli elementi, acqua, aria, terra, e naturalmente Jacques Demy. Il nuovo millennio e il digitale. Dal teatro usciamo tra gli archivi, nelle immagini dei film, sui loro luoghi come erano e come sono oggi. Varda ricorda la lavorazione di Senza tetto né legge insieme alla sua protagonista, Sandrine Bonnaire, entrambe sedute su un carrello, che allora aveva diciassette anni: – il film è dell’85 e vinse il Leone d’oro a Venezia. Ricorda il travelling che ha usato spesso per restituire la collera e il continuo movimento del personaggio anche nella realtà che la circonda. Era una solitaria che viveva per strada a differenza delle donne che qualche anno prima invece combattevano tutte insieme.

RISATE, COMPLICITÀ. Birkin che maledice gli anni che passano, giocando con la pittura insieme a Varda nelle immagini di Jane B. par Agnés V. Nel «Garage Demy» ci sono i ricordi di una persona amata e c’è lo spazio comune di due artisti, lui che la sua storia non poteva più finirla, perché era malato, lei che la compie (sullo schermo) per lei. Ogni storia rivela qualcosa del fare film, aggiunge un nuovo frammento, condivide un universo. E questo disvelamento del cineasta e dei suoi «strumenti» rende Varda par Agnés quasi un archivio pe scoprire o riscoprire il suo cinema e anche per dire come ciascun film, ciascuna immagine si fa. Può essere forse una sorta di eredità ma con leggerezza. Varda sa sempre stupire, disseminando piste, oggetti fantastici, epifanie di realtà. È il suo mondo e racconta il nostro.

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