«Eo», l’intelligenza animale e la violenza umana
Cannes 75 Presentato in concorso il nuovo film di Jerzy Skolimowski con Isabelle Huppert, al centro il legame speciale tra una ragazza e un asino, con la scelta di adottare il punto di vista di quest'ultimo
Cannes 75 Presentato in concorso il nuovo film di Jerzy Skolimowski con Isabelle Huppert, al centro il legame speciale tra una ragazza e un asino, con la scelta di adottare il punto di vista di quest'ultimo
Frammentati come sono da una luce stroboscopica rosso forte, i contorni dei corpi/volti di una ragazza e di un asino si distinguono a mala pena uno dall’altro. La musica pulsante comunica un senso di catastrofe incombente. Il numero finisce, le luci di sala si riaccendono e la realtà si ricompone di fronte alla platea di un circo. Tutti battono le mani appagati. EO, l’asino, e Kasandra, la ragazza, hanno un legame speciale, che sembra posizionarli altrove rispetto alla crudezza della vita quotidiana nella troupe itinerante, e che viene infranto quando una protesta di ambientalisti fa sì che le autorità locali sequestrino tutti gli animali del circo.
PER EO è l’inizio di un viaggio verso l’ignoto che lo porterà da stalle di allevamento per purosangue, a isolate fattorie, a un campeggio di bambini down, a perdersi in foreste che sembrano popolate da alieni, ai bordi di un campo di calcio e a una villa italiana dove sta Isabelle Huppert. Parte vittima, parte attore dei suoi spostamenti l’asino «incontra» imponenti momenti della natura e manifestazioni (non particolarmente edificanti) di varia umanità.
Il grande precedente del nuovo lungometraggio (il venticinquesimo) di Jerzy Skolimowski, in concorso a Cannes 2022, è, ovvio, Au Hazard Balthazar, uno dei pochi film – disse il regista polacco – che lo aveva fatto piangere. Ma Skolimowski stravolge in chiave sperimentale sia la dosatissima forma sia il punto di vista bressoniani. EO è una declinazione New American Cinema di Au Hazard Balthazar, con un tocco di Okja e del Cow di Andrea Arnold.
A PARTIRE dal numero con Kasandra, la realtà di quello che succede è infatti quasi sempre filtrata attraverso la percezione dell’asino – quindi deformata, emotivizzata, alzata a livelli decibel impossibili, occasionalmente sintetizzata in immagini astratte (Skolimowski ci ricorda qui che è anche pittore) o virata , via filtro, in sfumature extraterrestri, per un effetto di manipolazione dei sensi e degli affetti che a tratti funziona a tratti ti scaraventa fuori dal film. Skolimowski, e la sua co-sceneggiatrice coproduttrice abituale, Ewa Piaskowska, riservano l’umorismo notoriamente feroce del regista agli umani – che ci vengono presentati in gradazioni di crudeli (l’attendente del circo), grassi ubriachi e violenti (la scena della partita di calcio seguita da un pestaggio a sangue in cui viene coinvolto anche EO) e, anche quando non sono orribili, generalmente un po’ ottusi come l’autista del tir che trasporta EO in Italia o il figliol prodigo che lo consegna al castello di Huppert.
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