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Enrico Masi, un film nel cuore dell’Europa

Enrico Masi, un film nel cuore dell’EuropaDa «Terra incognita»

Cannes 76 Sulla Croisette sarà presentato tra gli altri il documentario «Terra incognita», nella sezione Cannes Doc

Pubblicato più di un anno faEdizione del 13 maggio 2023

Enrico Masi regista di Sinai, di Lepanto e di Shelter (tra gli altri) porta il suo nuovo progetto già in fase di arrivo, girato in scope, Terra incognita, all’ incubatore Cannes Docs e, senza svelare troppo, ci racconta alcuni interessanti elementi «È una ricerca Terra incognita, ci dice, che nasce nel 2018 sul finire di Shelter il film precedente. Avevamo la necessità di affrontare il tema ambientale, abbiamo cercato per tanto tempo quale fosse un’esperienza potente, d’avanguardia, di laboratorio che proponesse una soluzione al tema delle risorse energetiche e abbiamo trovato questa esperienza nel sud della Francia che si chiama ITER (International Termo Nuclear Experimental Reactor) che è un enorme cantiere transnazionale a cui partecipano Russia, Cina, India, Giappone, Corea del Sud, Stati Uniti e tutta la comunità europea. Tra l’altro anche l’Italia ha un’imponente partecipazione, con aziende sparse in tutto il territorio, da Marghera, a Ortona al Brasimone dove c’era una vecchia centrale nucleare sperimentale dell’Enea e molte altre. Si tratta di un enorme progetto pensato da Gorbacev e Reagan a metà degli anni Ottanta per limitare gli armamenti atomici spostando l’attenzione sulla fusione atomica. Poi dagli anni Ottanta agli anni 2000 ci sono stati avanzamenti, ma molto lenti a livello tecnologico, ingegneristico più che fisico, perché dobbiamo ricordare che la fusione è stata pensata negli anni ’40 da un soldato russo, quindi sono passati quasi 80 anni che si cerca la fusione. È quasi una leggenda, una storia alla «Maestro e Margherita»: Oleg Lavrentiev soldato che parte per la seconda guerra mondiale, inventa il Tokamak, uno dei sistemi per produrre la fusione nucleare. Questo soldato scrive a Stalin che invece di cestinare la lettera la manda allo scienziato Sacharov che ammette che l’idea di questo semplice sodato che aveva studiato fisica è potenzialmente rivoluzionaria. Da qui gli studi di fusione che sono tuttora in corso a livello transnazionale nel sud della Francia in una cittadella atomica abbastanza conosciuta, Cadarache. Noi ci siamo avvicinati lentamente a questo territorio e siamo riusciti a entrare con i permessi dell’ente della comunità europea, Fusion for Energy. E ora stiamo arrivando al montaggio del film. Non lo chiamerei neanche un documentario, noi lo definiamo «terzo cinema». Non è un cinema del reale è un cinema alternativo che utilizza forme ibride. Il terzo cinema è quando la finzione utilizza il documentario e quando il documentario utilizza la finzione, fortemente, non in maniera timida o parziale. E poi c’è anche la questione dell’archivio, il film utilizza molto l’archivio. Il nostro non è un finto documentario, il documentario nel film quasi non esiste.

Il film non è un documentario di osservazione su ITER ma crea un ponte per ossimoro con un’esperienza al contrario, per decrescita. Dall’altra parte delle Alpi, infatti, invece di cercare un’energia prometeica – perché la fusione è l’energia del sole, che sarebbe proibita mitologicamente all’uomo – dall’altra parte delle Alpi gli uomini cercano di vivere senza energia (anche se è un’impresa impossibile, si vive sempre con il calore della legna).

Ci sono due grandi sistemi dell’energia che si stanno contrastando, il film li sintetizza: uno è quello della fusione che è centralizzato, e pone il problema di chi controllerà la fusione, mentre la realtà sta andando verso le comunità energetiche diffuse dei pannelli solari e delle pale eoliche: è uno scontro tra due sistemi opposti, uno scontro energetico tra i diversi modi di intendere i nostri bisogni, quindi è oltre la sostenibilità, pone il problema di che cosa ha bisogno l’uomo per sopravvivere nel cuore dell’antropocene.

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