Il decreto energia, previsto per oggi, slitta sino a lunedì. Il governo ha bisogno di qualche giorno per mettere a punto il cuore del provvedimento: le norme per rimpiazzare il gas russo a partire dalla piena riattivazione delle quattro centrali a carbone.

I sostegni contro gli aumenti di prezzi e bollette saranno poca cosa. Il governo ha ramazzato qualcosa in più del previsto: «Siamo a 21,5 miliardi», annuncia il ministro dell’Economia Daniele Franco. Ma una quindicina di miliardi sono già stati spesi. Ne restano 6 e sono pochissimi.

La maggioranza reclama lo scostamento di bilancio ma è un passo che Mario Draghi, tornato ieri in campo grazie al tampone negativo, non vuole fare. Come non vuole per ora aumentare la tassazione sugli extraprofitti delle società realizzati proprio grazie al caro energia.

«Monitoreremo e interverremo rapidamente se necessario», promette Franco. Persino il segretario del Pd Enrico Letta sbotta: «Chiediamo al governo di fare di più. Ci aspettiamo un intervento per proteggere salari e potere d’acquisto. E qualcosa di più strutturale di quanto fatto». Allude al taglio del cuneo fiscale ma anche per quello il piatto piange. I soldi non ci sono e senza scostamento di bilancio non ci saranno.

C’è invece il gas russo, ma potrebbe non esserci domani e comunque va sostituito.

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La prima preoccupazione del governo oggi è questa: sostegni al potere d’acquisto e lotta al caro bollette possono aspettare, sperando che l’Europa, nel prossimo Consiglio, batta un colpo. Non è del tutto escluso che i distinti interventi vengano separati, ciascuno col suo apposito decreto. Ma è improbabile: Draghi vuole chiudere il pacchetto completo.

Voci dal governo danno per già dimezzato il fabbisogno di gas russo, dal 42% al 21% dell’energia adoperata. Difficile capire se sia una aspettativa troppo ottimistica: comunque, per ora, il conto è solo sulla carta.

Dallo shopping delle settimane scorse in giro per l’Africa dovrebbero uscire circa 15 miliardi di metri cubi di gas, a parziale sostituzione dei 29 miliardi che riempiono le tasche di Putin e finanziano la guerra. Ma perché gli accordi si traducano in energia corrente servirà un po’ di tempo. Se a tagliare il cordone con la Russia saremo noi, mediante embargo, ci sarà qualche mese perché non dovrebbe scattare prima dell’autunno.

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Ma se Putin dovesse fare anche all’Italia lo scherzetto con cui ha colpito Polonia e Bulgaria tutto diventerebbe molto più accelerato. Dunque bisogna incrementare subito la produzione interna e significa ricorrere al carbone.

Il piatto forte del decreto dovrebbe essere proprio questo: le quattro centrali a carbone (Civitavecchia, Brindisi, Monfalcone e Fusina) devono marciare al massimo, essere «messe a regime» producendo circa 3 miliardi di metri cubi.

È un passo in controtendenza rispetto all’accelerazione sulla transizione ecologica ma bisogna rassegnarsi, specificando però che la misura è a tempo, non più di un paio d’anni, e inserendo già in questo testo le misure per accelerare il ricorso alle rinnovabili disboscando la giungla delle autorizzazioni.

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Il taglio delle accise sarà prorogato fino al 30 giugno, per un risparmio di 25 cent al litro, 35 con l’Iva. Parte di quei 6 miliardi andrà ai fondi integrativi per le materie prime.

Servirà molto di più, altrimenti a rischio grosso finiranno le opere del Pnrr ma per ora la coperta è cortissima e il solo successo strappato dai partiti, con i 5 Stelle in testa, è sul superbonus per le villette: i termini per completare il 30% necessario dei lavori slitterà fino al 30 settembre e soprattutto verranno riallargate, e di molto, le maglie per la cessione del credito.

Di interventi più sostanziosi se ne riparla dopo il Consiglio europeo.