Emissioni fuorilegge, Fca a processo
Dieselgate La causa mossa negli Usa dal dipartimento di giustizia contro Fiat Chrysler non dovrebbe costare alla compagnia automobilistica, nel peggiore dei casi, più di un miliardo di dollari. Intanto l'azienda si difende e nega il dolo, che quindi andrà provato nel procedimento civile.
Dieselgate La causa mossa negli Usa dal dipartimento di giustizia contro Fiat Chrysler non dovrebbe costare alla compagnia automobilistica, nel peggiore dei casi, più di un miliardo di dollari. Intanto l'azienda si difende e nega il dolo, che quindi andrà provato nel procedimento civile.
La causa civile mossa negli Usa dal dipartimento di giustizia contro Fiat Chrysler non dovrebbe costare alla compagnia automobilistica, nel peggiore dei casi, più di un miliardo di dollari. Anche per questo il titolo Fca, almeno a Piazza Affari, ha avuto nelle ultime 48 ore un calo ma non particolarmente significativo. Questa stima dell’eventuale sanzione, o di un potenziale patteggiamento di Fca con le autorità nordamericane, per le emissioni diesel oltre i limiti di legge in più di 100mila autovetture, arriva dal New York Times. Il tutto all’indomani dell’apertura del procedimento civile, peraltro atteso perché diretta conseguenza dell’accusa mossa il 12 gennaio scorso dall’Agenzia per la protezione ambientale statunitense: l’installazione “senza comunicarlo, di un software di gestione delle emissioni nei modelli Jeep Grand Cherokee e Ram 1500 prodotti nel 2014, 2015 e 2016 con motori diesel a tre litri venduti in Usa”.
Fino ad ora Fiat Chrysler ha negato di aver voluto aggirare i test. “Se ci sarà un processo Fca si difenderà con forza – avverte il gruppo automobilistico con una nota ufficiale – particolarmente contro ogni accusa che l’azienda abbia deliberatamente installato congegni ingannevoli per aggirare i test. Fca collabora da mesi con con la Us Environmental protection agency (Epa) e il California air resources board (Carb). Abbiamo sviluppato software di controllo delle emissioni aggiornati, e riteniamo che le preoccupazioni delle due agenzie concernenti le calibrazioni dei veicoli sarebbero così risolte”.
Al contrario, fonti dell’Agenzia per la protezione ambientale fanno sapere che la compagnia automobilistica non è stata ancora in grado di fornire spiegazioni esaurienti su quanto accaduto. Di qui l’accusa di aver equipaggiato i motori con un “defeat device”, software in grado di eludere i controlli sulle emissioni nocive degli ossidi di azoto, i cui livelli risulterebbero ben superiori a quelli consentiti dalla normativa Usa in materia, il “Clean air act”.
Le contestazioni si basano sui rilievi effettuati dalla stessa Agenzia per la protezione ambientale, che nel gennaio scorso aveva spiegato di aver riscontrato la presenza di almeno “otto peculiarità del software non citate nelle richieste di certificazione” presentate dalla compagnia automobilistica. Caratteristiche che potrebbero “rendere inefficaci i sistemi di controllo delle emissioni in condizioni di guida reali”, in altre parole in un ambiente diverso da quello dei test effettuati in laboratorio.
Il caso Fca è comunque un po’ diverso dal “dieselgate” di Volkswagen. La casa tedesca ha ammesso di aver utilizzato il “defeat device” su 11 milioni di vetture nel mondo, fatto che al momento le è costato oltre 20 miliardi di dollari. Fiat Chrysler invece nega di aver commesso volontariamente un’eventuale infrazione. Quindi le autorità Usa dovranno dimostrare l’esistenza del dolo, è cioè che Fca abbia montato di proposito il software per superare i controlli delle emissioni.
Anche per il ministro Graziano Delrio “sono due casi completamente diversi. Per Volkswagen si parla di device illegali, che truccavano i dati sulle emissioni e non erano nemmeno denunciati dal produttore. Per Fiat Chrysler invece di dispositivi di protezione del motore, regolarmente denunciati e che l’azienda spontaneamente aveva già deciso di migliorare”. Inoltre il numero delle auto Fca coinvolte è meno di un quinto di quello del caso Volkswagen. Quindi, segnala il New York Times, applicando i calcoli usati per il patteggiamento tedesco si arriva, in caso di condanna di Fca, a potenziali sanzioni per non oltre 800 milioni di dollari.
Le autorità Usa accusano anche la VM Motori Spa, azienda di proprietà Fca dal 2013, che ha approntato i propulsori montati sulla Jeep Grand Cherokee e sul Ram 1500. In questo caso gli investigatori ambientali hanno reso noto di aver avuto accesso a mail e documenti interni che aprono “questioni rilevanti” legate allo sviluppo dei progetti. Questo anche perché alcuni addetti della VM Motori, è specificato nella citazione a giudizio, avrebbero lavorato al quartier generale Fca in Michigan sulla calibrazione di quei motori e sulle loro emissioni.
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