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Emergenza continua: abbiamo ancora bisogno di volontari

Emergenza continua: abbiamo ancora bisogno di volontariBrigate di solidarieta attiva a Conselice – Foto

Alluvione in Romagna Ben 74 i cantieri attivi. I piccoli i più in difficoltà: non riusciamo a mietere il grano. «Molti produttori hanno visto crollare pezzi di terreno o non riescono a raggiungerli»

Pubblicato più di un anno faEdizione del 20 giugno 2023

Anche se l’emergenza è passata, è ancora lunga la coda che l’alluvione si sta lasciando indietro. Sono 74 i cantieri ufficialmente attivi (28 in provincia di Bologna, 23 nel ravennate, 14 nella provincia di Forlì-Cesena e il resto tra riminese e modenese) e riguardano principalmente il ripristino post erosioni e delle zone di deflusso dell’alveo dei fiumi oltre che interventi idraulici, di pulizia e rimozione di occlusioni. Le zone interessate sono in particolare quelle in prossimità degli argini crollati tra il 16 e il 17 maggio scorsi, come la briglia Medicea e il tratto di alveo del fiume Montone a Forlì, la rotta di Reda a Faenza o il tratto a valle di Bagnacavallo-Russi. Le criticità però, sono ben oltre rispetto a quelle evidenti in cui l’intervento non poteva che essere subitaneo, e si incuneano negli angoli nascosti dell’Emilia Romagna. Il mosaico che ne esce è ancora frantumato, segnato dalle particolarità di un territorio eterogeneo.

È quello che emerge anche dai racconti delle carovane di aiuti volontari che ancora adesso continuano a recarsi nelle terre alluvionate. «Non è tutto un disastro e non è tutto a posto», racconta Marco delle Brigate di Solidarietà Attiva, accorsa sul campo sin dai primi giorni: «C’è ancora bisogno di volontari perché la situazione non è risolta. Nonostante nella maggior parte delle zone ci sia un netto miglioramento, permangono alcune aree in cui si è ancora al punto zero». È il caso di alcune zone del ravennate, della campagna del faentino, in cui le abitazioni ripristinate si trovano contornate dai campi cementificati dal fango solido o a Forlì, dove un intero quartiere di case popolari ha dovuto di nuovo iniziare da capo a spalare le cantine in cui le tubature cedute durante l’alluvione hanno creato ulteriore allagamento con il sopraggiungere delle normali piogge.

Non diversamente critica è la situazione dei rilievi, in cui è stato ancora più difficile convogliare aiuti e in cui persistono numerose interruzioni stradali per frane e smottamenti.

Per il tratto dell’Appenino Centrale, insieme al Distretto del fiume Po, è stato individuato un piano di 427 azioni che però sono in attesa del finanziamento statale.

«Il rischio è che le aree interne siano più facilmente dimenticate» afferma Pier Paolo Lanzarini, socio produttore di Campi Aperti che vive sull’Appennino Bolognese, secondo cui l’alluvione è stata per le zone montane «un colpo quasi mortale». «La sensazione è quella di un territorio fragilissimo che abbiamo pochi strumenti per difendere. Ci si chiede: che fare? Molti produttori qui hanno visto crollare pezzi di terreno o strutture, oppure fanno fatica a raggiungere il podere o il campo dove non arriva più la mietitrebbia perché non c’è la strada. Mentre le aziende più grandi avranno le risorse per ripristinare le capacità produttive, saranno ancora una volta i più piccoli ad essere travolti da questa situazione, come anche le amministrazioni locali, già in difficoltà prima».

È per tamponare le criticità del momento che anche il lavoro dei volontari è cambiato e ora riguarda anche il sostegno a chi deve richiedere i risarcimenti o a coloro che hanno bisogno di un aiuto psicologico per affrontare questa situazione straniante. Un lavoro che sempre di più si esplica insieme alle piccole realtà locali del territorio: «La catena di solidarietà che si è attivata in questo periodo è potuta avvenire solo grazie ai piccoli circoli di diversa natura che agiscono a livello locale», ha ricordato Laura che coordina gli aiuti da Bologna attraverso la Piattaforma di Intervento Sociale Plat.

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