Blocco della produzione e crollo dell’occupazione. Sindacati e Confindustria riassumono senza mezzi termini il devastante costo economico e sociale dello stop immediato al gas russo per la Germania.

«Il rapido embargo sulle forniture di Mosca provocherà la deindustrializzazione del nostro Paese» è l’apocalittica previsione congiunta dei presidenti della Federazione sindacale (Dgb), Reiner Hoffmann, e dell’Associazione datori di lavoro (Bda), Rainer Dulger.

Appello a doppia firma ultra-allarmante, all’attenzione della maggioranza politica che sostiene il governo Scholz quanto dell’opposizione pronta a tagliare ciò che rimane del ponte energetico con Putin con mosse perfino più drastiche.

«Così concepite, le sanzioni stanno danneggiando maggiormente chi le ha imposte rispetto a chi le subisce» avvertono i rappresentanti delle due categorie più preoccupate per l’insostenibilità materiale della “madre” di tutte le ritorsioni economiche contro la Russia. Anche perché «nei prossimi mesi avremo molti problemi da risolvere, e di certo non potremo agire da una posizione di debolezza» precisano Hoffmann e Dulger.

Orientati, peraltro, nella stessa direzione del ministro dell’Economia, Robert Habeck (Verdi), secondo cui la fine della dipendenza dall’import di Gazprom e Rosfnet «non sarà possibile prima dell’estate 2024».

Del resto, che la rinuncia alle fonti fossili di Mosca debba essere graduale corrisponde esattamente alla posizione ufficiale del governo Scholz, ribadita quotidianamente dal portavoce Wolfgang Büchner.

Pena l’innesco della spaventosa reazione a catena sintetizzata nella nota di sindacati e imprenditori: «Prima ci sarà il calo della produzione, poi lo stop agli stabilimenti e infine la perdita dei posti di lavoro» a partire dai settori più energivori come siderurgia, chimica e industria dell’auto.

Un effetto collaterale micidiale per la tenuta della stessa Bundesrepublik: «In caso di embargo immediato sul gas russo si rischia di rompere la pace sociale» è l’incubo a occhi aperti del vicecancelliere Habeck, consapevole che non sarà sufficiente minacciare di esproprio le società di gestione delle reti energetiche come prevede l’ultimo stadio del suo piano di emergenza. Mentre i mitologici rigassificatori, di cui a Berlino promettono la costruzione accelerata, non riusciranno comunque a compensare il mega-deficit di metri cubi del gas russo.

Anche per questo il governo Scholz, pur spingendo sulla riduzione dei consumi domestici, finora si è guardato bene dal provare a convincere i tedeschi dell’equivalenza tra condizionatori (o termosifoni) spenti e la bancarotta finanziaria di Putin.

Al contrario, il secco No di Dgb e Bda all’embargo immediato del gas di Mosca segnala che la crisi energetica è più capillare del previsto e allo stato attuale priva di una vera soluzione. L’ultimo studio di Greenpeace stima in ben 32 miliardi di euro la bolletta del 2022 per i tedeschi (corrispondente a quasi il 60% della spesa militare di Putin), con il costo di petrolio e gas russi passato nell’ultimo anno, rispettivamente, da 11,4 a 14,3 miliardi e da 8,8 a 17,2 miliardi.