Eleganza felpata, maschilismo razzista e battute salaci: Ian Fleming giornalista
Scrittori inglesi «Thrilling cities», da La nave di Teseo
Scrittori inglesi «Thrilling cities», da La nave di Teseo
Quale giornale incaricherebbe oggi Ian Fleming nel ruolo di inviato per la rubrica domenicale dedicata ai viaggi? Se il lettore pensa, d’istinto, di rispondere: «qualunque giornale possa permetterselo», forse è meglio che si faccia prima una idea di quanto ha prodotto Fleming quando una vera testata britannica lo coinvolse in un progetto editoriale del genere. Nel 1959 fu designato infatti dal «Sunday Times» per esplorare quattordici delle città «più esotiche del mondo». Lo scrittore accettò dopo qualche riserva per poi registrare tutto, come avrebbe detto, «con gli occhi di un autore di thriller». Da ciò il titolo della raccolta di questi reportage, Thrilling cities, che torna in Italia nella traduzione di Andrea Carlo Cappi già edita, integrata e «restaurata» da Massimo Bocchiola, e presentata con il titolo in lingua inglese (La nave di Teseo, pp. 285, € 20,00).
Il tour, diviso in due blocchi, toccò le tappe di Hong Kong, Macao, Tokyo, Honolulu, Los Angeles, Las Vegas, Chicago, New York; per poi concludersi con Amburgo, Berlino, Vienna, Ginevra, Napoli e Monte Carlo. Sembra di sentire già la musichetta dei film: un elenco quantomai à la Bond. E del suo agente segreto, come è stato detto, Fleming ha un po’ tutto, e in Thrilling cities non manca niente: l’eleganza felpata (nello scrivere, oltre che nel viaggiare); la battuta salace sempre pronta; il maschilismo reazionario; il senso di superiorità, agitato-non-mescolato insieme a un certo provincialismo razzista; così scorrono davanti al lettore le prostitute di Hong Kong e Macao (nel grande hotel-grattacielo «Più si sale, più belle e costose sono le ragazze»); gli omosessuali capresi, che sembrerebbero spariti, si direbbe con grande sollievo di Fleming («Lo Homintern, come un branco di lemming, ha lasciato l’isola»); un viaggio in aereo con pilota neozelandese che propone «un bagaglio di barzellette sugli aborigeni». Fleming stesso, del resto, parla di sé chiedendosi retoricamente se egli non sia «ignorante, bigotto, dalla mentalità ristretta».
Una recensione sul «New York Times» nel 1964 diceva che Thrilling cities «sembra scritto dal futuro» (!). Questo, con la breve descrizione dell’aeroporto del Bahrein – oggi fiore all’occhiello della logistica mondiale –, presentato come «il più trasandato al mondo, i cui bagni non sarebbero tollerati in una prigione», dà un’idea abbastanza chiara della distanza storica dalla quale giunge il testo, e di come non leggerlo oggi: non è un libro di viaggi né una guida, anche se si offre con tanto di appendici su «dove pernottare» e «dove mangiare». Dice poco dei luoghi visitati, e molto (troppo) di Ian Fleming; né si può pretendere di leggerlo come un’opera letteraria, ciò che sarebbe solo un disperato tentativo di sottrarre l’autore alla occhiuta obiezione del politicamente corretto (quest’anno è stata avviata in patria la ripubblicazione dei romanzi di Fleming depurati dai commenti «inappropriati»). Thrilling cities è la traccia diaristica più cospicua, divertita e divertente che questo singolare romanziere ha lasciato per iscritto: in qualche raro caso, molto divertente (i passaggi ilari sull’Italia e su Napoli), punteggiata di considerazioni sciocche (non scorrette: sciocche), e però all’improvviso pungente e talvolta, anche se a quel punto può risultare difficile ammetterlo, preciso, addirittura accurato. Dunque: alzi la mano chi manderebbe in giro, oggi, Ian Fleming come inviato per la rubrica di viaggi; e se qualche caporedattore ci sta pensando seriamente, aggiunga al conto l’immagine di Fleming al casinò, sbronzo e fumante, che si intrattiene tutta la notte alla roulette, «finché non ebbi perso altri cento dollari del Sunday Times».
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