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El Salvador e Canton Ticino, la strana coppia del Bitcoin

El Salvador e Canton Ticino, la strana coppia del BitcoinSan Salvador, settembre 2022, protesta anti-Bitcoin – Ap

Memorandum d'intesa per la promozione delle criptovalute Il presidente Bukele è un fan incondizionato, ma l'introduzione del virtual money nel piccolo paese latinoamericano è stato un fallimento totale

Pubblicato quasi 2 anni faEdizione del 19 novembre 2022

A Lugano, sulle rive del lago Ceresio, si staglia esuberante la montagna del San Salvatore con tanto di funicolare che in pochi minuti vi s’inerpica fino alla cima. Quel monte porta lo stesso nome della capitale del più piccolo quanto densamente popolato stato dell’America Latina: San Salvador in El Salvador. Ebbene, destino ha voluto che il sindaco della città del Canton Ticino, Michele Foletti, abbia sottoscritto con l’ambasciatrice salvadoregna negli Usa, Milena Mayorga, un memorandum di collaborazione per la promozione delle criptovalute.

Al di là della già piuttosto originale intesa fra un municipio e il governo di una nazione, viene da chiedersi cosa possa avere a che spartire una delle piazze finanziarie storicamente più importanti della Svizzera con il poverissimo staterello del subcontinente latinoamericano.

È che El Salvador nel settembre dell’anno scorso ha fatto da apripista nel legalizzare la circolazione del bitcoin. E fin qui qualche interesse ci potrebbe stare. Ma l’azzardato esperimento, lanciato dal presidente millennial Nayib Bukele, si è rivelato un fallimento. Dei 105 milioni di dollari di risorse pubbliche investite (in vari momenti) nell’acquisto di 2.381 bitcoin, almeno 65 si sono fin qui dissolti per la caduta della criptomoneta.

E altri 120 sono stati impiegati per l’allestimento della piattaforma Wallet Chivo, cui hanno aderito da subito i due terzi dei 6,5 milioni di abitanti. Salvo poi, una volta spesi i 30 dollari promozionali, uscirsene in massa. Così che solamente il 10% dei pagamenti avviene oggi in El Salvador in virtual money. Mentre a fatica il 2% dei 7,5 miliardi di dollari di rimesse familiari annuali degli emigrati giungono in moneta digitale, mentre il giovane capo di stato puntava al 100%, che equivalge a quasi un quarto del prodotto interno lordo.

Ma non è finita qui. Il progetto del twittero Bukele prevedeva pure la fondazione sul Pacifico di Bitcoin City, dove sarebbe stata approntata una “miniera” per l’estrazione di bitcoin con l’impiego di energia geotermica del vulcano Conchagua. Solo che l’emissione dei Bitcoin Bond che avrebbe dovuto sostenerla, annunciata per il marzo scorso, è stata inesorabilmente posposta sine die. Per di più con il Fondo monetario internazionale che già mesi fa ha subordinato all’abbandono del corso del bitcoin un prestito di 1,3 miliardi di dollari per il prossimo anno. Mentre le agenzie di rating hanno declassato a spazzatura il suo debito.

Come se non bastasse in El Salvador da otto mesi è in vigore lo stato di emergenza per contenere le maras, bande che controllano vasti territori con estorsioni e spaccio. Da allora sono stati arrestati oltre 60mila giovani (finanche dodicenni), ammassati in cella senza poter uscire neanche per l’ora d’aria. Unanime è giunta la condanna fra gli altri della Commissione Interamericana per i diritti umani.

Così che l’incipiente autarca Bukele, presidente dal 2019, che controlla i due terzi del parlamento e giunto a subordinare a sé con un golpe istituzionale anche il potere giudiziario, si sarebbe avventurato a ipotecare soldi pubblici nei supervolatili oltre che assai poco trasparenti bitcoin, quale illusoria scorciatoia per tentare di ridurre le immense disuguaglianze sociali in favore (dice) di quelle stesse disperate giovani generazioni che lo avevano votato. In un paese dove l’oligarchia le tasse non sa neppure cosa siano.

Paradosso vuole che Nayib, nonostante la debacle della criptomoneta, mantenga elevati consensi proprio per la repressione contro quegli altrettanto giovani pandilleros, di cui la popolazione più sventurata era in balia.
Se dunque per il governo di El Salvador l’aggancio al cosiddetto Plan B di Lugano potrebbe costituire un’eventuale ciambella di salvataggio riesce invece difficile capire alla rovescia l’interesse di costei che punta ad essere la capitale europea delle criptovalute. Con le autorità ticinesi ad esaltare quella «interessante esperienza pionieristica» tropicale, rivelatasi in realtà sciagurata. E cui la città elvetica ha dato seguito de facto dal marzo scorso con il varo della criptomoneta Lvga.

Ma la ciliegina sulla torta doveva arrivare proprio in questi ultimi giorni con il bitcoin ulteriormente sprofondato per la bancarotta della piattaforma di scambio di criptovalute Ftx, che si è divorata 30 miliardi di dollari e che ha gettato nel caos l’intero mondo delle monete virtuali tanto da paragonarla al crack della Lehman Brothers.
Bukele ha annunciato imperterrito che ogni giorno che passa comprerà comunque un bitcoin. Mentre la sinistra nel consiglio comunale di Lugano ha chiesto conto alla giunta dell’adozione della criptovaluta oltre che dell’esotico gemellaggio. Non resta che augurare ai luganesi che il San Salvatore non si converta in incubo incombente della blockchain sulla città.

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