Se qualcuno piange la scomparsa di Henry Kissinger, di sicuro non sono i popoli latinoamericani. Tra gli scheletri che si affollano nell’armadio lasciato dal Premio Nobel più contestato della storia, quelli riguardanti la Patria Grande sono forse i più clamorosi, dalla sua partecipazione al golpe contro Salvador Allende nel 1973 al sostegno alle dittature di Videla in Argentina e di Pinochet in Cile, nel quadro della tristemente famosa Operazione Condor.

Fino a che punto si sia spinto, lo hanno chiarito una volta per tutte le migliaia di documenti, trascrizioni di colloqui e appunti che sono stati via via desecretati negli Stati uniti, come quelli diffusi dalla National Security Agency nel 2020 o i due pubblicati lo scorso agosto sul sito della Cia relativi ai briefing dell’8 e del 11 settembre 1973.

Pagine e pagine sulla politica Usa in Cile da cui emerge come Kissinger, all’epoca segretario di Stato di Nixon, si sia attivato contro Allende addirittura prima che venisse eletto. Celeberrima, e agghiacciante, la frase da lui pronunciata durante una riunione del 27 giugno 1970: «Non vedo perché dovremmo restare con le mani in mano a guardare mentre un Paese diventa comunista a causa dell’irresponsabilità del suo popolo. La questione è troppo importante perché gli elettori cileni possano essere lasciati a decidere da soli». Un concetto ribadito anche due mesi prima dell’insediamento del presidente socialista, quando, in una telefonata al direttore della Cia Richard Helms, il 12 settembre 1970, aveva dichiarato perentoriamente: «Non lasceremo che il Cile vada in malora», temendo che, come avrebbe detto in un’altra occasione, il paese diventasse «il peggior disastro della nostra amministrazione», «la nostra Cuba del 1972». Quale indicibile orrore sia avvenuto dopo è storia nota.

Eppure, mentre in tutto il mondo cresceva la preoccupazione per le violazioni dei diritti umani da parte del regime di Pinochet, Kissinger, nel giugno del 1976, portava i suoi omaggi al macellaio cileno: «Vogliamo aiutarti, non indebolirti. Hai reso un grande servizio all’Occidente rovesciando Allende».

È durante questo stesso viaggio che il segretario di Stato, non più di Nixon ma di Gerald Ford, si era amabilmente intrattenuto – in un colloquio opportunamente ricordato ieri da molta stampa latinoamericana – con il ministro degli esteri del regime militare argentino César Guzzetti, il quale gli aveva confidato come il suo paese stesse affrontando difficoltà economiche e problemi di «terrorismo», sollecitando un sostegno da parte degli Usa.

«Faremo tutto il possibile per aiutare il nuovo governo ad avere successo», aveva garantito Kissinger, non senza fare a Guzzetti una speciale raccomandazione: «Se ci sono cose che vanno fatte, fatele rapidamente. Ma poi tornate ai procedimenti normali». Una raccomandazione che la junta argentina seguì solo a metà: che le «cose» siano state fatte non c’è alcun dubbio, ma in maniera tutt’altro che rapida.

Sempre nel 1976, peraltro, furioso per la decisione di Fidel Castro di inviare truppe in Angola, Kissinger si era anche spinto a elaborare piani per «annientare Cuba» con attacchi aerei. Ma almeno questo non gli sarebbe riuscito.