Editoriale

Egitto, la diplomazia del silenzio

Egitto, la diplomazia del silenzio

Verità per Giulio Regeni Non appare proprio come un normale avvicendamento diplomatico la scelta di «promuovere» Maurizio Massari alla prestigiosa e importante sede di Bruxelles al posto di Carlo Calenda nominato nelle stesse ore […]

Pubblicato più di 8 anni faEdizione del 12 maggio 2016

Non appare proprio come un normale avvicendamento diplomatico la scelta di «promuovere» Maurizio Massari alla prestigiosa e importante sede di Bruxelles al posto di Carlo Calenda nominato nelle stesse ore ministro dello sviluppo. Né convincono le parole del presidente del Consiglio Matteo Renzi che indicando nel nome di Gianpaolo Contini il nuovo ambasciatore al Cairo, evidentemente avveduto sui sospetti che la scelta avrebbe potuto suscitare, ha dichiarato: «Allo stesso tempo, per evitare che la sede del Cairo rimanga anche simbolicamente senza ambasciatore, considerando la situazione particolare – anche se oggi registriamo le dichiarazioni del procuratore capo Pignatone, a cui siamo totalmente affidati per le indagini – per evitare anche un solo giorno di mancanza di ambasciatore abbiamo individuato in Giampaolo Cantini, grande esperto di Nord-Africa, il nuovo ambasciatore in Egitto».

Una lunga e affannosa dichiarazione dalla quale trapelano troppe ambiguità. La più evidente è che proprio nel momento peggiore per la verità su Giulio Regeni, l’ambasciatore Massari, testimone e protagonista fin dalle prime ore del caso, viene praticamente allontanato ancora di più dalla scena politica di questo delitto di Stato.

Massari era stato giustamente richiamato in Italia «per consultazioni» l’8 aprile scorso, come risposta tardiva ma corretta all’atteggiamento arrogante del regime egiziano e dello stesso presidente golpista Al Sisi. Lo stesso per il quale Renzi si è speso in questi ultimi due anni in elogi, trattative e sdoganamenti. Ripetutamente le autorità del Cairo, dal ministero degli interni a quello degli esteri ai media legati al potere, hanno insabbiato, depistato, infangato con menzogne il nome di Giulio Regeni. Ribadendo a più riprese la bugia che di «caso isolato» si trattava, mentre siamo di fronte ad un regime che si regge su una violenza sistematica fatta di sparizioni forzate, arresti prolungati, torture e uccisioni di oppositori e attivisti. È stato recentemente incarcerato, non a caso, anche Ahmed Abdallah attivista dei diritti umani e consulente egiziano della famiglia Regeni: deve essere subito liberato.

È poi a dir poco limitato se non miope, attribuire valore salvifico alle indagini della procura italiana, che insiste a dire che le indagini «le fanno gli egiziani», e che già si è trovata di fronte allo smacco del «niente» portato a Roma dagli investigatori del Cairo, e che rincorre al Cairo verbalizzazioni, ipotetici tabulati e celle telefoniche, pezzi di carta. Nell’affannosa quanto improbabile ricerca della verità dalle sole indagini delle polizie e dei magistrati, viste le ripetute bugie e i depistaggi anche sanguinosi come l’uccisione di cinque «malviventi» presunti responsabili del sequestro di Giulio Regeni. Con le sole indagini, spesso impedite e contradditorie, non si arriverà, temiamo, da nessuna parte. Aspettando nuovi documenti, nuove «scoperte d’Egitto» si sta probabilmente solo preparando una verità se non di comodo, sicuramente di serie B e con tanti capri espiatori.

C’è invece un’altra verità, politica, che era e resta da perseguire. Vale a dire rispondere all’interrogativo su chi aveva interesse a sequestrare, torturare e uccidere Giulio Regeni che ricercava sulla natura dei nuovi sindacati egiziani e le loro difficili attività dopo il golpe militare dell’estate 2013. E da questo punto di vista il testimone Maurizio Massari era decisivo. Fu infatti lui nella notte della scoperta del corpo trucidato di Giulio Regeni ad intervenire subito, a non accontentarsi della versione delle autorità egiziane, a intuire la tragedia che si era consumata, ad informare la ministra Guidi in missione d’affari che interrogò su questo lo stesso presidente Al Sisi. È sempre lui il depositario di un interrogativo fin qui rimasto senza risposta: chi decise un silenzio lungo i sei giorni del sequestro verso l’opinione pubblica e i media italiani non informati della sparizione di Giulio Regeni, certo ucciso come gli attivisti egiziani, ma cittadino italiano a tutti gli effetti?

È solo una delle tante domande rimaste inevase. Ora il cosiddetto avvicendamento sposta Massari nel cuore di altre dinamiche internazionali. E la nomina del pur stimato ex console di Gerusalemme, Giampaolo Cantini – a suo tempo avvicendato poco diplomaticamente pure lui dall’ex ministro Terzi – sortisce l’effetto di una nuova, tranquillizzante disponibilità al compromesso e apertura di credito ad Al Sisi. Con risvolti, temiamo, anche sulle pur limitate indagini. Resta da vedere se anche Cantini risulterà ancora «richiamato a Roma per consultazioni», lasciando cioè ancora vacante la sede del Cairo di fronte alla non collaborazione egiziana, oppure se sarà rispedito subito al suo ruolo diplomatico al Cairo. Se così fosse non si tratterebbe come qualcuno incosapevolmente scrive di uno «sblocco dello stallo con gli egiziani che ormai rischiava di diventare una partita infinita». Ma della vittoria della diplomazia del silenzio.

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