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Editti, abusi, diritti azzerati. Apartheid di genere a Kabul

Editti, abusi, diritti azzerati. Apartheid di genere a KabulLa protesta dell’atleta afghana Kimia Yousofi alle Olimpiadi di Parigi 2024 foto Ap

Afghanistan Donne vittime di una «architettura dell’oppressione» su istruzione, lavoro, salute, libertà di movimento

Pubblicato 3 mesi faEdizione del 15 agosto 2024

Il 15 agosto è «un giorno nero nella storia dell’Afghanistan». E ancora, «libertà per le donne afghane». Recitano così le scritte realizzate in modo anonimo su un muro di Kabul da alcune ragazze afghane. Nelle stesse ore in cui i Talebani celebrano l’anniversario della conquista di Kabul, le attiviste ne capovolgono il significato, ricordando che la vittoria degli islamisti è la sconfitta delle donne. Contestare equivale ad assumersi rischi enormi: arresti arbitrari, torture, perfino abusi sessuali.

IL CONTROLLO DEI TALEBANI sulla società è capillare e violento, si nota in un recente rapporto del servizio Diritti umani di Unama, la missione dell’Onu in Afghanistan, dedicato alle attività del ministero per la Virtù e il vizio: tra il 15 agosto 2021 e il 31 marzo 2024 ci sarebbero stati 1.033 casi documentati di applicazione della forza e violazione delle libertà personali, con danni fisici e mentali. Un rapporto relativo ai primi sei mesi del 2024 curato dall’organizzazione Rawadari, con il contributo della ex responsabile dell’Afghanistan Independent Human Rights Commission, istituto smantellato dai Talebani insieme al ministero per gli Affari femminili, certifica la tendenza: nel Paese ci sono meno esplosioni, ma una costante contrazione delle libertà: «Detenzioni arbitrarie raddoppiate, sparizione forzate triplicate rispetto al 2023. La situazione dei diritti umani rimane disastrosa».

IN PARTICOLARE PER LE DONNE. L’attacco contro di loro «non solo è in corso, ma si sta intensificando», si legge nell’ultimo rapporto dello Special Rapporteur dell’Onu sui diritti umani in Afghanistan, Richard Bennett: «Violazioni sono così gravi ed estese che sembrano costituire un attacco diffuso e sistematico contro la popolazione civile che può equivalere a crimini contro l’umanità».

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Soltanto nel periodo tra giugno 2023 e marzo 2024, sono 52 gli editti con i quali sono state ulteriormente contratte e negate le libertà di donne e ragazze. Complessivamente, è stata istituita una vera e propria «architettura dell’oppressione», con la negazione del diritto all’istruzione, al lavoro, alla libertà di movimento, alla salute e alla giustizia. Secondo l’organizzazione Human Rights Watch, i Talebani hanno creato «la peggiore crisi dei diritti delle donne al mondo». E «gli Stati dovrebbero intentare una causa alla Corte internazionale di giustizia per la mancata applicazione della Cedaw (la Convenzione per l’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne, ndr) da parte dei Talebani, di cui l’Afghanistan è parte».

IERI RICHARD BENNETT, insieme ad altri 29 esperti dell’Onu, ha sollecitato la comunità internazionale a non normalizzare le autorità di fatto o le loro spaventose violazioni dei diritti umani. Nel rapporto citato, incoraggiava agli Stati «a sostenere la codificazione dell’apartheid di genere come crimine contro l’umanità» e li invitava a usare «i meccanismi internazionali di responsabilità come la Corte penale internazionale e la Corte internazionale di giustizia». Obiettivo suo e delle attiviste che conducono la campagna denominata End Gender Apartheid è sottoporre all’Assemblea generale dell’Onu, attraverso le discussioni presso il Sesto Comitato delle Nazioni Unite, una bozza di testo che introduca il reato di apartheid di genere, l’unico che possa tener conto della natura istituzionalizzata degli abusi. L’idea di fondo è che, codificando il crimine e applicandolo all’Afghanistan, gli Stati membri siano costretti ad agire contro il regime dei Talebani, che verrebbe indebolito e isolato e, quindi, costretto a cambiare.

UN’OPZIONE che qualcuno ritiene poco convincente: i Talebani si sono sempre dimostrati impermeabili alle pressioni esterne, nota Mélissa Cornet in un articolo sull’apartheid di genere ospitato sulla London Review of Books. Dove ricorda la distanza tra città e campagne afghane. «Durante i due decenni di governo sponsorizzato dagli Stati Uniti, il progresso non è riuscito a raggiungere le campagne. Molte delle donne che ho intervistato e che vivevano fuori dalle città hanno visto l’arrivo dei Talebani come un fatto positivo: nelle loro zone non c’erano mai state scuole femminili e avevano sempre dovuto indossare il burqa, anche quando l’Afghanistan ospitava più di 100.000 truppe americane. Almeno ora c’è la pace».

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