La polemica sulla pugile algerina è un tipico caso di manipolazione politica attraverso la creazione ad arte di un caso mediatico posto in termini errati e irrazionali.

Imane Khelif è infatti una pugile forte sì ma non di valore anomalo. Ha partecipato per la prima volta ai campionati del mondo nel 2018 ed è stata eliminata al primo round classificandosi al 17esimo posto, l’anno seguente sempre ai campionati del mondo si è attestata 33esima.

Alle Olimpiadi di Tokyo 2020 è stata sconfitta dall’irlandese Kellie Harrington nei quarti di finale. Ai mondiali di pugilato per dilettanti del 2022 è stata battuta dall’irlandese Amy Broadhurst.

Quindi il caso di Angela Carini non è quello di una donna che abbia incontrato sul ring un’atleta assolutamente imbattuta che desta sospetti per le sue vittorie in serie. Khelif ha vinto, certo, ma è stata anche molto sconfitta.

Tutta la diatriba tra l’International Boxing Association e il Cio sollevata nel 2023 ha legittimato nel contesto politico italiano la nascita di un «caso» mal posto a fini puramente strumentali (si è parlato di «uomo», di persona trans, termini assolutamente inappropriati per una persona con genitali femminili, socializzata come donna ma che ha una condizione chiamata «iperandrogenismo»).

Chiaramente le competizioni debbono essere eque e le categorie di uomo o donna ormai si sono rivelate troppo riduttive rispetto alla molteplicità dell’esistente, neppure quelle del peso, pur applicate nella boxe, possono bastare.

Per questo ci sono anche i parametri ormonali che il Cio ha stabilito per riconoscere la legittimità dei soggetti a iscriversi in una categoria o in un’altra ed entro questi parametri che identificano la «donna» e il suo peso, la pugile algerina si situa legittimamente e a pieno titolo.

Anzi, come sottolineato da un articolo di Repubblica, il dibattito cui il caso della puglie algerina dovrebbe indurci è se sia legittimo imporre cure ormonali depotenzianti pur di rientrare in parametri artificiali (ci ricordiamo bene il caso Semenya).

Forse il vero scandalo sta proprio qui, piegare l’esistente ai parametri artificiosi dell’istituzione sportiva per renderla «normale», «accettabile», «concepibile»!

E neanche questo, pare, sia bastato a sopire il desiderio di fare baccano attraverso la polemica come arma di distrazione di massa.