Domenica il Mia che taglia il Reddito di cittadinanza e la spesa sociale di tre miliardi. Ieri l’annuncio del primo passo della riforma fiscale che taglia le aliquote, specie per i redditi medio alti e cancella tasse alle imprese.

La consecutio è chiara ed è tutta politica. E tiene assieme tutta la destra.

LA DELEGA MESSA A PUNTO dal ministro leghista Giancarlo Giorgetti e dal suo vice (responsabile economico) di Fratelli d’Italia Maurizio Leo dovrebbe approdare in Consiglio dei ministri la prossima settimana o al più tardi quella successiva. E spazia dalle imposte per passare a strizzare l’occhio agli evasori con una grande riduzione degli accertamenti e dei contenziosi nella riscossione del fisco.

La delega indicherà le misure poi toccherà ai decreti attuativi disporre nel dettaglio le norme esecutive.

Il governo annuncia di voler passare da quattro a tre gli scaglioni Irpef, con relativo ritocco delle aliquote. La novità più rilevante sarebbe quella di accorpare gli scaglioni centrali e prevedere uno schema con aliquota al 23% per i redditi fino a 15mila euro, al 27% per i redditi da 15mila euro a 50mila euro e 43% per redditi oltre i 50mila euro.

SULLA CARTA A GUADAGNARCI ci sarebbero soprattutto i ceti medio alti, che ora fra i 28 e i 55 mila euro annui pagano un aliquota del 38%. In realtà, come per ogni modifica fiscale, per tirare le somme bisognerà guardare con attenzione alle modifiche a detrazioni e deduzioni, tuttora indefinite.

La riforma, lo ammette lo stesso governo, ha comunque necessità di copertura. E, sebbene sia chiaro che le risorse verranno dal taglio della spesa sociale – il già citato passaggio dal Reddito di cittadinanza alla Misura di inclusione attiva – e di quella ambientale – la fine dei crediti di imposta per il Superbonus 110% – il governo si vende come fonte di entrate l’annunciato taglio degli incentivi fiscali alle imprese, già strombazzato senza alcun piano reale dal ministro Adolfo Urso, che prevederebbe una potatura delle oltre 600 tax expeditures, cioè le detrazioni e le deduzioni fiscali che oggi costano allo Stato circa 156 miliardi.

Se questa «potatura» è scritta nel cielo, per le imprese in cambio arriva la certa abolizione dell’odiata Irap e la revisione dell’Ires.

NEL PRIMO CASO, L’IMPOSTA regionale sulle attività produttive con cui l’allora ministro Pierluigi Bersani accorpò varie tassazioni viene completamente cancellata, con grande giubilo per la Confindustria di Carlo Bonomi e tutte le organizzazioni di piccole imprese, artigiani e commercianti.

Nel secondo, invece, per l’imposta sui redditi delle società l’aliquota base resterà al 24%, ma potrà scendere fino al 15% se l’impresa investirà nei due anni successivi i propri utili in investimenti innovativi o se li utilizzerà per assumere e aumentare l’occupazione.

Luigi Marattin, Italia Viva
I diritti d’autore non glieli chiediamo, tranquilli. In cambio facciano davvero queste cose e noi non mancheremo di agire nell’interesse della nazione

AD ANNUNCIARE TRIONFANTE il voto alla delega oltre alla destra compatta c’è l’ineffabile Luigi Marattin di Italia Viva. L’economista renziano ieri era scatenato: «I diritti d’autore non glieli chiediamo, stiano tranquilli. Ma in cambio facciano davvero queste cose, senza aggiungere populismi fiscali o scelte sbagliate. E noi non mancheremo di agire nell’interesse esclusivo di una nazione che da 50 anni non riforma il proprio sistema fiscale», ha dichiarato con sprezzo del ridicolo.