Colombia, scorie di guerra
Colombia William Alberto Acosta Menendez è un avvocato che difende prigionieri politici e processo di pace: «Lo stato infligge ai carcerati un trattamento inumano, violandone i diritti»
Colombia William Alberto Acosta Menendez è un avvocato che difende prigionieri politici e processo di pace: «Lo stato infligge ai carcerati un trattamento inumano, violandone i diritti»
William Alberto Acosta Menendez è un avvocato colombiano che difende i prigionieri politici e il processo di pace. Da anni in prima fila nelle lotte sociali, è il rappresentante legale della ong Corporacion Semilla y memoria, e membro della Coalicion por el trato digno de los prisioneros politicos Larga vida a las mariposas. Semilla y memoria è un’organizzazione che da oltre 8 anni segue i prigionieri politici.
La questione dei prigionieri politici è un punto dolente degli accordi. Qual è la loro condizione carceraria?
Nei dipartimenti del Huila, Tolima e Quindio vi sono oggi 800 prigionieri, in maggioranza prigionieri di guerra, prigionieri di coscienza e vittime di montature giudiziarie. Abbiamo oltre 400 prigionieri di guerra membri della guerriglia marxista Farc-Ep in delicate situazioni di salute e in isolamento, che lo stato continua a considerare un nemico, e per questo infligge loro un trattamento inumano, che trasgredisce le norme minime del regolamento penitenziario e viola i diritti umani e il diritto internazionale umanitario. Come trattamento punitivo, si impone ai prigionieri politici il trasferimento in centri di detenzione molto distanti dai luoghi di residenza, per allontanarli dai propri affetti e piegarne le convinzioni. In alcuni casi, vengono tenuti in isolamento, in altri li si obbliga a convivere con i delinquenti comuni e con i paramilitari, a rischio della loro integrità, perché il paramilitarismo gode di grandi protezioni statali, sia nelle carceri che fuori.
E il resto della popolazione detenuta?
Nelle carceri della regione come in tutto il paese esiste una sistematica violazione dei diritti umani, con uno speciale accanimento nei confronti dei prigionieri politici, confinati in centri penitenziari lontanissimi da quelli previsti dalla legge per la risocializzazione. La maggior parte delle carceri sono vere e proprie “università” del crimine e discarica sociale. I detenuti non vengono trattati come esseri umani ma come scorie della società, e le carceri come luoghi in cui continua la guerra e la repressione. Carceri e sistema giudiziario sono funzionali alle politiche di guerra e di asservimento portate avanti in tutti questi anni. Il problema del sovraffollamento in tutti gli istituti del paese è stato condannato da diverse istituzioni e enti di controllo, ma senza esito. In merito alla situazione degradante in cui versano le carceri, una sentenza della Corte costituzionale dichiara “insostenibile” la violenza provocata soprattutto dal sovraffollamento. Nel carcere di Ibagué Coiba – Picaleña, costruito per ospitare circa 4.446 persone, en sono recluse 6.038. In quella di Neiva, che dovrebbe recludere 993 persone, ve ne sono circa 1.664. E sono cifre del 2014. Inoltre, vi sono problemi di acqua, che viene somministrata solo per due ore, una al mattino e una al pomeriggio, con conseguenti problemi sanitari e di salute pubblica. La situazione sanitaria è drammatica, perché le cure mediche sono inesistenti. Le medicine arrivano solo dopo una sentenza dei giudici che impongono all’Amministrazione penitenziaria di rispettare la legge. Le morti dei detenuti non provocano sanzioni né proteste. La lentezza dei processi costituisce uno dei punti più dolenti nella violazione sistematica dei diritti umani, unitamente alla chiusura della magistratura nella concessione delle misure alternative e nelle attività di reinserimento. Inoltre, non esiste una politica carceraria di genere, le donne incinte o con figli non godono di garanzie sanitarie minime per la loro condizione: a partire dalla mancanza di acqua, vera e propria tortura per ogni essere umano.
Qual è il ruolo della sua Ong nel processo di pace?
La Corporacion è una delle organizzazioni che ha funzioni di consulenza nella commissione di pace delle Farc. Dedica i propri sforzi alla richiesta di libertà e trattamento umanitario per i prigionieri politici presso le istituzioni nazionali e internazionali. Da tempo stiamo costruendo una pedagogia di pace negli istituti penitenziari, un elemento chiave per i prigionieri politici. Un esercizio che, in alcuni casi, è stato accompagnato dall’Ufficio dell’Alto commissariato per la pace in Colombia. Al contempo, chiediamo il miglioramento delle condizioni sanitarie. Attualmente abbiamo un indice alto di popolazione con handicap e un’altra percentuale di prigionieri che convive con malattie altamente complesse, alcune delle quali incompatibili con la detenzione che però lo stato non considera e rimangono in carcere. In questo momento, per migliaia di combattenti e per il popolo in generale sono molte le aspettative sollevate dalla firma dell’accordo finale per la fine del conflitto e la costruzione di una pace stabile e duratura. I prigionieri delle Farc-Ep sperano di incontrare le famiglie che non vedono da anni per via del regime di isolamento. Questo accordo colma di speranza i famigliari e tutti quelli che, insieme alla guerriglia e alla società colombiana ora si dedicheranno, senza le armi, alla costruzione di una Colombia più giusta, uguale e senza esclusione.
Qual è stato il peso dei movimenti e delle organizzazioni popolari nei negoziati di pace?
L’apporto delle organizzazioni di massa è stato determinante. La maggior parte di noi ha costantemente alzato la bandiera della pace con giustizia sociale. Quella per una Colombia degna e con migliori opportunità è sempre stata la rivendicazione dei settori più impoveriti della società. È però importante sottolineare che intendiamo la pace come transizione dalla disuguaglianza all’uguaglianza, dalla esclusione all’inclusione, verso uno stato che offra maggiori opportunità, garantisca il diritto alla salute, all’educazione, a una casa dignitosa, uno stato che rispetti i diritti umani e il diritto internazionale umanitario. Ed è importante altresì precisare che le organizzazioni popolari chiedono di rimuovere le cause che hanno portato le Farc a prendere le armi, e che oggi persistono. Le Farc hanno sempre cercato la pace, che finora non si è raggiunta per gli interessi meschini delle oligarchie colombiane che non permettono la trasformazione delle campagne, la partecipazione politica, che non producono benessere per i settori impoveriti. Abbattere gli alti indici di povertà in Colombia e ridurre la disuguaglianza sociale è sempre stata la consegna dei rivoluzionari e della popolazione colombiana.
Cosa pensa del referendum, qual è il clima nel paese?
La generazione odierna vive uno dei momenti più importanti della storia recente, il consolidamento della pace con giustizia sociale. Il referendum sugli accordi dell’Avana è un meccanismo di partecipazione che permette alla popolazione di esprimersi. La maggioranza appoggia il si perché è un’opportunità per costruire una Colombia di pace. Non si tratta solo di appoggiare gli accordi e l’abbandono delle armi da parte delle Farc, ma i cambiamenti profondi che implica per la nazione: nelle campagne, nella partecipazione politica, nel problema del narcotraffico e delle coltivazioni illecite… Anche se la consegna delle armi e il rientro nella vita civile delle Farc-Ept non conclude la pace giacché vi sono altri fattori in gioco, come il paramilitarismo, che mettono paura alla popolazione civile, si tratta di un importante passo avanti. Vista dalla prospettiva dei settori che sempre sono stati esclusi, la trasformazione delle Farc in movimento politico sarà un fattore di coesione e articolazione delle forze di sinistra più vive nella società, produrrà profonde trasformazioni della democrazia colombiana.
Qual è il peso dei settori che avversano la pace?
In questo conflitto armato che dura da 52 anni vi sono stati ingenti sforzi per arrivare a una soluzione politica, durante diversi governi: il movimento insorgente ha proposto il dialogo fin dall’inizio, ma si è sempre scontrato con gli interessi economici della borghesia e dei governi di turno. Il perdurare del conflitto armato ha generato ricchezza per pochi e povertà per la maggioranza. Gli attori che sempre hanno promosso la guerra, i settori della borghesia colombiana che sempre si sono visti beneficiati dal conflitto armato non appoggiano il referendum e hanno fatto campagna per il no. Questo settore, guidato dall’ex presidente della repubblica Alvaro Uribe Velez ha disegnato una strategia piena di menzogne nei riguardi degli accordi dell’Avana, strategia appoggiata dai media come la Tv Rcn. Il peso dell’uribismo e dei nemici della pace è forte, tuttavia crediamo che non avrà un’influenza decisiva sulla maggioranza che vuole la pace. In fondo, oggi sono settori minoritari che difendono i loro interessi, da sempre basati sulla guerra. Uribe e il suo governo hanno dato inizio ai primi contatti per attivare un negoziato attraverso il presidente venezuelano Hugo Chavez, ma senza alcuna intenzione di dare soluzione alle cause del conflitto armato. Per questo quei contatti non ebbero seguito. E oggi Uribe dice che gli accordi consegneranno il paese al “castro-madurismo” e al “terrorismo”. Penso che queste posizioni verranno sconfitte. Le cifre delle violazioni dei diritti umani mostrano la necessità di avanzare verso scenari di riconciliazione tenendo come asse centrale le vittime del conflitto armato.
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