Quando inaugurò nel 1989 era considerato l’hotel più grande del mondo. E forse anche il più famoso. Per la sue dimensioni fisiche ma anche per ciò che, concettualmente, voleva rappresentare: un’idea di entire entertainment experience applicata al consumatore. Una novità anche per Las Vegas. Dunque non più o non solo luci al neon e sorridenti ragazze in costume da bagno ma illusionisti, tigri bianche, acrobati contorsionisti e spettacoli circensi, come il Cirque du Soleil, lo show più famoso di Sin city, fondato a Montréal nel 1984 da un ex mangiatore di fuoco allora ventiquattrenne di nome Guy Laliberté.

TUTTO ERA NUOVO ed eccentrico al Mirage. All’interno del casinò era stata realizzata una foresta tropicale, alcune cascate, un enorme acquario posizionato dietro la reception ed era stato costruito persino un vulcano artificiale che eruttava a intervalli regolari, per creare l’illusione di trovarsi in un lussureggiante paradiso del Pacifico e dimenticarsi per un weekend di essere nel torrido deserto del Mojave. Oggi, dopo quasi 35 anni di attività, il simbolo iconico della Las Vegas a cavallo tra Ottanta e Novanta chiuderà i battenti, per essere sostituto da un nuovo albergo della catena Hard Rock, previsto per il 2027. Ma Las Vegas non è esattamente un luogo adatto ai rimpianti. Nel deserto del Nevada la memoria è spesso solo un intralcio e i ricordi, si sa, non producono denaro.

MA È INNEGABILE che il Mirage abbia avuto un ruolo storico nell’evoluzione della città, segnando drasticamente il passaggio dalla vecchia alla nuova Vegas. O, per dirla più pragmaticamente, dai dollari della mafia a quelli della finanza. In un momento economicamente non brillantissimo per la città, quando ancora i grandi fondi di investimento non ritenevano Las Vegas un buon affare, per via dell’odore stantio di mafia che la città si portava dietro, un imprenditore di nome Steve Wynn riuscì miracolosamente nell’impresa di costruire un nuovo grande hotel sulla Strip per la cifra allora record di oltre seicento milioni di dollari, intestandosi di fatto il ruolo di maggior responsabile del cambiamento della città negli ultimi trent’anni. A Vegas già esistevano i casinò a tema, i Grand Hotel, la possibilità di fare shopping o di mangiare elegantemente. Ma Wynn ebbe la furbizia di mettere tutto assieme e di trasformare un banale pernottamento in una forma di attrazione.

A VOLTE È ANCHE una questione di tempismo. Forse Wynn si è trovato nel posto giusto al momento giusto. Pensiamo a Bugsy Siegel. Ebbe l’idea perfetta ma con venti anni di anticipo. Nessuno era pronto per il Flamingo nel 1945, con la sua piscina quadrata, l’erba o le palme appositamente fatte spedire dalla California. Ma se l’avesse immaginato venti anni più tardi forse gli avrebbero fatto un monumento. Invece la sera del 20 giugno del ’47, mentre si trovava nella sua elegante tenuta a Beverly Hills, due proiettili partiti da un cespuglio gli perforarono il cranio, uccidendolo all’istante. Il colpevole non fu mai trovato. Ma la storia non si fa con i se.

RESTA DA CAPIRE come un imprenditore poco conosciuto sia arrivato a essere l’uomo della provvidenza. Trasferitosi a Las Vegas con la famiglia nel ’67 – il padre per un breve periodo aveva gestito una sala bingo – Steve Wynn si fece conoscere in città nei primi Settanta grazie all’acquisto del Golden Nugget, in quel di downtown, passato alla storia come “il più famoso incruento colpo di stato nella gestione dei casinò di Las Vegas”. Ma la sua fortuna è legata a un none e uno soltanto: Michael Milken, un giovane enfant prodige della finanza di Wall Street, salito agli onori della ribalta per aver inventato tra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli Ottanta il mercato dei titoli spazzatura, i famigerati junk bond, titoli caratterizzati da un rendimento elevato ma anche da un alto rischio per l’investitore, che diventeranno tristemente famosi con la crisi dei mutui subprime nel 2008. Un’idea che cambiò il volto di Wall Street e che permise di prestare denaro a tutte quelle società, perlopiù medio-piccole, che per motivi disparati non avevano accesso ai tradizionali canali di finanziamento.

QUELLO CHE ALLORA era uno dei finanzieri più influenti d’America si diede da fare anche per Wynn, si erano conosciuti ad Atlantic City, e riuscì a vendere obbligazioni per un valore di 525 milioni di dollari, soldi che andarono a coprire quasi in toto i costi di costruzione del casinò. Senza Milken non ci sarebbe stato nessun Mirage. Pochi mesi dopo questa operazione, il re dei titoli spazzatura, come era stato ribattezzato, fu accusato di oltre novanta capi di imputazione (il procuratore del caso era un ambizioso avvocato di New York di nome Rudy Giuliani) e finì per dichiararsi colpevole di sei reati, tra cui frode finanziaria e cospirazione. Si fece due anni di prigione e fu bandito a vita dal commercio dei titoli. Ma nel mondo della finanza newyorkese la sua reputazione rimase leggendaria.

NEGLI ANNI A SEGUIRE Steve Wynn continuò la sua personale opera di trasformazione di Vegas in un luogo sempre più lussuoso, costruendo prima il Bellagio e poi il casinò che porta il suo nome, il Wynn, mentre Michael Milken si riciclò in versione filantropo, molto attivo nel campo delle fondazioni in ambito sanitario. Dopo che gli era stata negata da Bush Jr e da Barak Obama, nel febbraio del 2020 ottenne la grazia presidenziale da Donald Trump. Quello stesso ex presidente che alla fine degli anni Ottanta aveva venduto quasi settecento milioni di titoli spazzatura per finanziare la costruzione del suo casinò, il Trump Taj Mahal, considerato il peggiore casinò di Atlantic City, fallito nel 2014 e demolito qualche anno fa. Una storia molto americana.