Marco Cappato, tesoriere dell’associazione Luca Coscioni, ha appena concluso la sua visita al carcere di Monza, città dove è candidato nelle elezioni suppletive del Senato per il collegio che fu di Silvio Berlusconi, quando legge le bozze del decreto legge che il governo si appresta a varare oggi in contrasto alla devianza e alla criminalità minorile.

A caldo, dopo ore passate in un carcere così particolare come quello di Monza, cosa pensa di queste proposte?
Che non c’è alcun interesse a occuparsi della realtà, ma solo dell’impatto mediatico dei provvedimenti. Ci sono Paesi – e dovrebbe essere obbligatorio anche in Italia – che prima di scrivere parti di legislazione valutano obiettivi e l’impatto delle norme. Qui si scrivono regole con decreto senza un studio accurato, una commissione di esperti che approfondisca la problematica per capire cosa funziona e cosa no. Si considera solo l’impatto mediatico di vicende di cronaca e vi si risponde con leggi che valgono per sempre. Questo è un modo di distruggere il senso stesso dello Stato di diritto, cioè è un metodo eversivo di populismo mediatico.

A onor di cronaca, non l’hanno inventato loro…
Per nulla. Perché se l’avessero inventato loro non ci troveremmo in questa giungla di leggi inapplicabili su tutto. Il problema è che in un circuito mediatico sempre più istantaneo e aggressivo nel fare esplodere la notizia e consumarla nel giro di pochi giorni, diventa ancora più necessario per questo tipo di politica inseguire l’effetto massmediatico. Cosa non ha funzionato? I genitori, la droga, le misure restrittive ad hoc? Qual è il problema non importa, l’importante è vedere che cosa della vicenda ha colpito l’immaginario collettivo e lì dare un’apparente risposta, senza minimamente curarsi di quale era il problema reale. Che cosa ci si aspetta con queste nuove norme? Con quale percentuale ci si aspetta che si riduca la devianza, l’abbandono scolastico, la criminalità e tutto il resto? Nessuno lo sa, ma poco importa.

E invece qual è la realtà, vista dall’interno di un carcere?
Nel giro di due mesi nel carcere di Monza sono aumentati di qualche decina i detenuti, in particolare quelli con problemi di droga e psichiatrici, due fattori spesso legati. Monza è un carcere importantissimo perché attrezzato per affrontare i problemi di salute mentale, è un punto di riferimento anche fuori dal territorio di diretta pertinenza. E parlando con il personale viene fuori con evidenza come finiscano in carcere persone che non sono state trattate prima, che non hanno trovato risposta a problemi di salute mentale e di tossicodipendenza fuori dal carcere.

Il provvedimento vorrebbe rispondere ai fatti di Caivano, occuparsi dei minori devianti, in particolare sui reati sessuali commessi da minorenni.
Anche qui: è vero o no che i reati sono in diminuzione? Si è abbassata l’età di chi entra nel mondo del crimine? O aumenta il numero delle denunce? Ovviamente anche un solo reato sessuale è intollerabile, non va sottovalutato, ma bisogna chiedersi se la pena per un giovanissimo sia un deterrente. La prevenzione è una risposta più faticosa, rispetto ai riflessi pavloviani. Occorrerebbe invece un grande piano per promuovere l’educazione affettiva ed emotiva, va inserita nei programmi e vanno formati gli insegnanti. Nell’era dell’intelligenza artificiale, dove la nozione ha sempre meno valore, e dopo gli anni della pandemia, bisogna occuparsi della formazione della personalità, della capacità di gestire le proprie emozioni e della cultura del rispetto. Vanno potenziati i servizi di salute mentale in tutta Italia.

A proposito della complessità della realtà: Rosella Nappini, l’infermiera uccisa a Roma dall’ex compagno, aveva per anni raccolto fondi per un centro antiviolenza eppure non aveva mai denunciato il suo ex che la stalkerava.
Proprio per questo serve un’analisi prima di legiferare, perché le risposte automatiche facili sono destinate a fallire. La cultura non si fa solo a scuola, soprattutto oggi. Ma se esiste un servizio pubblico per l’informazione radiotelevisiva, perché in rete non c’è nulla di analogo? Informazioni affidabili per i giovani e i giovanissimi, contenuti di qualità non moralistici ma formativi, prodotti divertenti e interessanti con cui inondare la rete e che facciano tendenza sui social. Questo occorrerebbe.

E cosa si fa contro l’abbandono scolastico?
Perché un ragazzino di una famiglia difficile dovrebbe andare a scuola se a 15 o 16 anni gli offriamo il business della droga in mano e gli regaliamo la possibilità di fare un sacco di soldi facili? Si aggravano le pene ma non si vuole affrontare la questione antiproibizionista. Poi hai voglia a multare i genitori se i figli non vanno a scuola. In certi casi e in certe condizioni, i genitori hanno paura dei figli. È questo che si vede in carcere.

Le pene ci sono, eppure non sempre sono un deterrente…
Ovviamente ogni volta che si parla di pene dobbiamo sapere che sono al collasso totale la macchina della giustizia, le forze dell’ordine e il carcere. Ho appena parlato con un detenuto che è entrato in carcere da poco per un reato commesso nel 2010. Altro che funzione rieducativa della pena. Uno che è arrivato a Pozzallo dall’Egitto e non sapeva di un reato che gli era rimasto “attaccato” da quando era stato in Italia anni prima. E quindi da Pozzallo è andato direttamente in carcere. Ci sono poi persone che avrebbero già il diritto di tornare a casa, ma non hanno il nullaosta del magistrato di sorveglianza. Non arriva per problemi burocratici e di collasso della macchina. E tutto questo vale per qualsiasi dimensione della giustizia, anche quella minorile. Insomma, per governare davvero devi sapere che l’efficacia della macchina è minima, e ovviamente non è alzando le pene o inventando nuovi reati che l’efficacia della macchina cambia.