Non è finita qui. Sembra che sia questo il messaggio che ogni nuovo bombardamento a Odessa porta con sé. In strada c’è gente, molti locali hanno riaperto, c’è persino chi prova a prendere il sole nei parchi dietro le spiagge di Otrada e Langeron. Ma poi, come è accaduto ieri, si sentono dei boati che frantumano l’illusione di essere lontani dalla guerra come una bolla di cristallo.

Agli allarmi non si fa più molto caso, sono in pochi ad affrettare il passo e ancora meno a scendere sottoterra. Dopo un inverno così duro sembra che il sole caldo tra i viali e le stradine del centro invitino a non pensare alla realtà. E gli odessiti fingono di credere, forse vogliono credere, a quel sole ingannatore. Ieri però, intorno alle 14, i passanti hanno capito che non si trattava di un boato come gli altri, di quelli che si sentono all’imbrunire quando la contraerea spara raffiche di colpi e ogni tanto si sente il tonfo di un drone o di un ordigno esploso in aria. Si è rifugiata dove poteva.

IN UN SUPERMERCATO a due passi dal famoso teatro dell’opera qualche decina di persone con lo sguardo preoccupato era ferma in attesa della fine dell’allarme. I genitori invitavano i più piccoli a restare sotto le alte colonne dell’ingresso e i bambini non capivano, pensando che scappare fosse un gioco. Un bimbo di 5 o 6 anni si è preso uno schiaffo dalla madre, reo di aver tentato una volata verso l’esterno con una bicicletta senza pedali.

Poi, lentamente, dal supermercato siamo usciti tutti in strada e il primo riflesso è stato guardare verso il cielo. Niente fumo, silenzio. Più tardi si è saputo che si trattava di un attacco con missili da crociera di tipo Onyx lanciati, secondo le autorità ucraine, dalle basi della Crimea verso una zona costiera a nord della città, colpendo un magazzino alimentare. La zona è stata circondata dalle forze dell’ordine e dalle squadre di primo soccorso. Mentre chiudiamo quest’articolo non si hanno ancora notizie ufficiali su eventuali vittime.

POCO DOPO, dal mare è arrivata un’altra notizia: 71 km al largo di Odessa le forze ucraine hanno attaccato piattaforme di trivellazione della Chernomorneftegaz, di proprietà di una società di idrocarburi con sede in Crimea. Al momento dell’impatto 109 persone si trovavano sulle piattaforme e 21 sarebbero state evacuate; delle altre non si hanno notizie. Alcuni video mostrano due caccia ucraini Su-27 nei cieli di Odessa intorno alle 18, il che lascerebbe pensare a un coinvolgimento dei velivoli nell’attacco all’impianto di estrazione.

Poco più a sud, lungo lo stesso litorale, nel fine settimana qualcuno aveva provato ad approfittare delle belle giornate per godersi una giornata di mare. Sembrerà strano ma anche un contesto drammatico come quello attuale lo spirito di adattamento prevale sulla paura.

A Otrada, accanto alle fosse scavate nella sabbia dalle pale meccaniche per permettere ai volontari di riempire i sacchi di sabbia usati per le fortificazioni, dei cartelli rossi con un teschio bianco inchiodati su dei pali di legno avvertono minacciosi del «pericolo mine».

A pochi passi la marina nella quale a inizio marzo i volontari si riunivano per un tè caldo o per un pasto offerto dalle varie associazioni umanitarie. Ora non c’è nessuno all’opera e quei cartelli con i teschi hanno sostituito lo spirito comunitario e l’abnegazione che i media di tutto il mondo avevano immortalato ed elogiato.

EPPURE, QUALCUNO ci si è steso intorno e a metà mattinata alcuni agenti scortati da militari armati sono scesi in spiaggia per chiedere alle persone di spostarsi. Un signore sui sessant’anni ha urlato contro una ragazza in divisa una frase simile a «ma con tanti posti da colpire vi sembra che i russi attaccheranno proprio qui? Proprio oggi?».

La ragazza non ha perso la calma e sorridendo lo ha invitato a spostarsi sotto le dune, meglio se all’ombra, insomma poco in vista. Più in là un uomo si è tuffato a pochi metri dalla riva, i militari hanno perso la calma e gli sono corsi incontro, non è chiaro se per i rischi che quelle acque nascondono o per redarguire chi contravveniva al loro ordine.

DIECI MINUTI DOPO la spiaggia era praticamente deserta, a delineare a metà la sabbia chiara rimanevano solo quei cartelli e le loro ombre macabre come una meridiana di morte. Alle loro spalle, una scena singolare. Sparuti gruppi di persone, per lo più anziani e qualche madre con i figli piccoli, addossati alle dune e in ombra intenti a fissare il mare interdetti, qualcuno lamentandosi ancora per quell’intervento della forza pubblica considerato eccessivo, qualcun altro in silenzio. Ma il dubbio ormai si era sedimentato: dopo poco la maggior parte è risalita verso il parco Shevchenko, «e se ora colpissero proprio qui?».