«Non siamo di fronte a un terremoto, non dobbiamo affrontare oggi una situazione emergenziale sperando che la situazione si ripeta tra mille anni. Tutti gli scenari e i modelli che ho visto, anche in sede europea, ci dicono che questa situazione di temperature mediamente più alte e precipitazioni più scarse è una costante, se non altro destinata a peggiorare. Di fronte a tutto questo, esiste una strategia per la gestione della risorsa idrica? Al momento, a me non sembra», spiega al manifesto Alessandro Bratti, segretario generale dell’Autorità distrettuale del Fiume Po e vicepresidente dell’Agenzia europea per l’Ambiente. «Una strategia non c’è – ripete – e si fatica a capire che questa non è un’emergenza».

UNA SITUAZIONE che sta diventando normalità è quella fotografata nel bollettino diffuso ieri dall’Osservatorio sulle risorse idriche dell’Anbi, l’Associazione Nazionale Consorzi di gestione e tutela del territorio e acque irrigue: «Al rilevamento finale di Pontelagoscuro la portata del fiume Po è scesa a toccare 338,38 metri cubi al secondo, cioè oltre 100 mc/s in meno del minimo storico di aprile e ben al disotto dei 450 mc/s, considerati il limite sotto cui il fiume è inerme di fronte alla risalita del cuneo salino. Non solo: nel siccitosissimo 2022 questi dati vennero registrati il 4 giugno, vale a dire che il più importante corso d’acqua italiano vive una condizione di crisi idrica estrema, da monte a valle, con ben 40 giorni di anticipo sul drammatico anno scorso».

Il bollettino del Cnr di marzo certifica che il 35,3% delle aree agricole irrigue, negli scorsi 24 mesi, ha sofferto di siccità severa-estrema: inoltre, in Piemonte, Lombardia, Trentino ed Emilia, la combinazione «anomalia termica-deficit pluviometrico» ha raggiunto il livello massimo. Anche il Lago di Garda è ai minimi storici con un riempimento al 25,9% il 9 aprile.

L’altro ieri Bratti aveva lanciato un ulteriore allarme: «L’attuale prolungata condizione di siccità diffusa nel distretto del fiume Po rappresenta oggi la situazione di maggiore urgenza nel comprensorio padano, ma è fuori di dubbio che proprio gli stravolgimenti idro-meteo-climatici possono alternare a questi scenari anche possibili periodi in cui l’accumulo di risorsa idrica negli alvei del Grande Fiume e dei suoi 141 affluenti, a causa di precipitazioni copiose e improvvise, può mettere seriamente a repentaglio la sicurezza idraulica delle comunità rivierasche e dell’ambiente circostante».

Il 16% delle arginature del Grande Fiume sarebbe potenzialmente a rischio, in particolare nei comprensori di Pavia, Piacenza, Mantova, Ferrara e Rovigo. «Oggi pare che il tema non ci sia, ma basta che piova tanto in poco tempo, che ci troveremo ad affrontare, come un’emergenza, un altro problema, che è lì, nascosto dietro l’angolo anche se tutti fingono di dimenticarlo» sottolinea Bratti.

È COSÌ: IN AGENDA il tema dissesto idrogeologico è autunnale, mentre di siccità dovremmo parlare d’estate. Purtroppo, però, lo stiamo già facendo da alcuni anni a primavera e questo è di per sé indicativo degli effetti del cambiamento climatico.

BRATTI COMMENTA il decreto siccità da poco approvato dal governo che istituisce una cabina di regia, che fa capo al ministro delle infrastrutture Salvini. «Questa cabina di regia, da cui deriva anche la nomina di un commissario per contrastare gli effetti della siccità, è meglio di niente e può avere un senso per rendere più rapido lo sfangamento delle dighe o per completare qualche opera, ma questi interventi – posto che un anno e mezzo è davvero poco tempo – dovrebbero essere accompagnati dalla costruzione di una strategia che preveda una pianificazione sulla gestione della risorse idrica. È da studiare – spiega il segretario generale dell’Autorità distrettuale del Fiume Po, che è stato anche direttore generale dell’Ispra – ovviamente coinvolgendo il mondo agricolo, come attuare un vero risparmio idrico, favorendo l’utilizzo di tecnologie innovative ma anche capendo se ha senso proporre un modello sempre uguale o se serve iniziare a ragionare su colture diverse, meno idroesigenti».

Traduciamo: in Pianura Padana, nella valle assetata del fiume Po, ha ancora senso seminare mais per l’alimentazione animale, da destinare agli allevamenti intensivi? Che poi il problema non è solo del Po.

NEL NORD-EST, la situazione non è migliore, come rileva il bollettino mensile dell’Agenzia regionale veneta per l’ambiente (Arpav). Gli apporti meteorici mensili sul territorio regionale sono inferiori alla media (-43%) e sono stimabili in circa 683 milioni di metri cubi di acqua. Tra ottobre e marzo sono caduti sul Veneto mediamente 344 millimetri di precipitazioni, contro una media 1994-2022 di 513. Marzo è stato anche scarsamente nevoso: il deficit è stato di circa 100 centimetri a 2.000 metri, 60 a 1.600 e 30-40 nei fondovalle delle Dolomiti a 1.200 metri di quota.

La sommatoria di neve fresca dal primo ottobre al 31 marzo evidenzia un deficit del 40% circa, pari a 180 cm di neve a 2.000 metri, 130 cm a 1.600 m e 60-100 cm nei fondovalle. La risorsa idrica nivale è scarsa, simile all’inverno scorso, in calo da metà gennaio e pari a 82-88 millimetri cubi nel bacino del Piave, 57-68 nel Cordevole e a 56-54 nel Brenta. Rispetto alla media 2005-2022, nel Piave il deficit è del 64%.

È TEMPO DI RENDERE operativo il Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici. Pichetto Fratin lo ha pubblicato a dicembre 2022, dopo l’inazione di Roberto Cingolani, però il tempo per affrontare seriamente la questione è quasi scaduto, come hanno ricordato il mese scorso i ricercatori del Centro euromediterraneo dei cambiamenti climatici presentando l’ultimo rapporto Ipcc.