E Fca vola in Borsa
Trimestrale Ma pesano le super-multe Usa, mentre va male il mercato in Asia e America latina
Trimestrale Ma pesano le super-multe Usa, mentre va male il mercato in Asia e America latina
Da Londra, dove l’ad Sergio Marchionne ha spostato la residenza fiscale della Fca, sono arrivate buone notizie dalla relazione sul secondo trimestre del gruppo, approvata ieri dal board.
La settimana era cominciata male, con la mega multa inflitta dalle autorità Usa dopo il ritiro di 11 milioni di auto, e proseguita peggio con i dati di Cnh Industrial, ma il settore auto ha cancellato per un giorno le note negative. Così Fca ha segnato un rialzo in Borsa del 5,7%, dopo aver messo a referto un utile netto (in crescita del 69%) di 333 milioni. L’indebitamento netto al 30 giugno è diminuito di 0,6 miliardi di euro rispetto al primo trimestre; la liquidità resta a 25,4 miliardi; i veicoli consegnati a livello globale sono 1,2 milioni, in linea con l’anno precedente. I ricavi segnano più 25% (29,2 miliardi di euro). Standard & Poor’s ha perciò alzato a «positivo» l’outlook, mentre il rating resta BB.
Gli affari in Europa, Medio Oriente e Africa fanno marcare una ripresa: le consegne di automobili e veicoli commerciali leggeri sono state pari a 322 mila unità (+13% rispetto al secondo trimestre 2014); i ricavi netti 5.470 milioni di euro (+19%). Un boom dovuto ai nuovi modelli Fiat 500X e Jeep Renegade, dopo anni di stasi in cui si è andato avanti con i restyling di Punto e Panda. In Nord America i veicoli venduti sono stati 682 mila (+5%); i ricavi netti pari a 17,2 miliardi di euro, in crescita del 40%, grazie alla nuova Jeep Renegade e alla Chrysler 200. In rosso le consegne in America Latina (meno 32%), mentre i ricavi sono scesi del 15%. Male anche nell’area Asia-Pacifico: le consegne sono calate di 14 mila unità (i ricavi netti sono stati pari a 1.523 milioni, come l’anno scorso).
Marchionne dispensava ottimismo: su Alfa Romeo («Vi sorprenderemo») ha promesso ma per saperne qualcosa bisognerà attendere la fine 2015. L’unico progetto che si conosce è la nuova Giulia, presentata alla stampa internazionale al Museo di Arese, che entrerà in produzione nel quarto trimestre. Per la Magneti Marelli nessuna svendita per ora, ma potrebbe succede in un prossimo futuro. In crescita del 5% i ricavi Ferrari (Marchionne è il presidente), ma «nessun commento» poiché il gruppo sta preparando lo sbarco del Cavallino Rosso alla borsa di New York.
Anche i dati dal Sudamerica non impensieriscono («Abbiamo identificato le aree dove intervenire»): la colpa sarebbe soprattutto dei costi legati all’avvio della produzione dello stabilimento brasiliano in Pernambuco, che dovrebbe andare in pareggio entro dicembre.
«Non ho nessuna notizia cattiva da annunciare» ha riassunto Marchionne, sicuro di «chiudere il gap sul margine che abbiamo con i nostri rivali in Nordamerica». Eppure lunedì era arrivata la notizia della sanzione record da 105 milioni di dollari comminata dalle autorità Usa a Fca nell’ambito delle indagini sui richiami di 11 milioni di auto, i cui sistemi di bordo erano a rischio attacco hacker: 70 milioni la multa più una spesa di 20 milioni per mettersi in linea con i parametri imposti dalla National Highway Traffic Safety Administration. E altri 15 milioni potrebbero aggiungersi se saranno scoperte altre violazioni del Safety Act o del Consent Order (l’accordo extragiudiziale raggiunto con l’autorità su 23 operazioni di richiamo). Mercoledì c’erano i dati (in rosso) del secondo trimestre di Cnh, società che produce veicoli commerciali, macchine agricole e per le costruzioni: i ricavi in calo del 10%, l’utile netto scende a 122 milioni di dollari.
«Il valore di Fca – ha spiegato l’ad – si vedrà una volta sottratto quello di un asset come Ferrari, ma non manca molto: siamo a meno di sei mesi dal D Day». Fino ad ora la ripresa è stata conquistata grazie a cinque anni di tagli in Italia (più tempi di lavoro forsennati sulle linee e una stretta sui diritti sindacali) e, solo adesso, nuovi modelli sui mercati. Non basta. Marchionne continua a cercare partner con cui stringere accordi per l’utilizzo di piattaforme produttive comuni, in modo da condividere i costi di ricerca e sviluppo. Sul tavolo ci sono molti dossier: GM, Volkswagen, Renault-Nissan. Tentativi sono già stati fatti con i tre gruppi, che per ora non sembrano fidarsi del manager italo-canadese.
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