Internazionale

Due mesi senza Mario Paciolla e senza giustizia

Due mesi senza Mario Paciolla e senza giustizia – Ansa

Due mesi dopo Ancora irrisolta la drammatica morte dell'Osservatore internazionale Paciolla in Colombia. Il governo italiano e le Nazioni Unite promettono il massimo impegno per fare luce sulla vicenda. Ma dalle inchieste indipendenti emergono molti punti oscuri

Pubblicato circa 4 anni faEdizione del 15 settembre 2020

Sono passati due mesi dall’omicidio di Mario Paciolla, l’osservatore internazionale che lavorava con la Missione di Verifica dell’Onu in Colombia. Vorremmo non essere costretti a specificare in ogni nuovo articolo chi era Mario Paciolla perché pensiamo che il suo caso dovrebbe essere già di dominio pubblico, per lo meno in Italia, ma il silenzio mediatico e istituzionale – da entrambi i lati dell’oceano – che ha contraddistinto questi due mesi – con rare ma significative eccezioni – obbliga a ripetersi, riprendere le fila del discorso e continuare a parlarne.

All’indomani delle dichiarazioni di Anna Motta, che ha rifiutato fin da subito la versione della polizia colombiana secondo la quale suo figlio si era tolto la vita, abbiamo ritenuto importante tradurre in italiano la lettera di Claudia Duque, giornalista colombiana e amica di Mario, e parallelamente contestualizzare l’omicidio di Mario Paciolla ed evidenziarne il carattere politico. Comprendere la violenza e i conflitti che attraversano la società colombiana ci aiuta a capire le ragioni che alimentano la repressione e le rappresaglie contro chi si oppone al variegato groviglio di interessi politici, economici e militari delle élite del paese che si intrecciano con il narcotraffico, lo sfruttamento indiscriminato dei territori e il paramilitarismo.

IL PARAGONE TRA MARIO PACIOLLA e le centinaia di attiviste e attivisti sociali uccisi in Colombia all’indomani degli Accordi di Pace del 2016 serve dunque ad evidenziare la violenza  strutturale che condiziona la vita della popolazione e si contrappone alla retorica istituzionale della Pace con la “p” maiuscola. Queste contraddizioni generano zone d’ombre che vengono strumentalizzate per uccidere, criminalizzare e diffamare chi lotta ogni giorno per la propria dignità, ma anche, in alcuni sporadici casi come quello di Mario, chi cerca di accompagnare con trasparenza e dignità tali processi sociali.

La vicinanza alla famiglia e l’impegno per la verità e la giustizia espresso dalle istituzioni italiane – nelle persone del Ministro degli Esteri Luigi Di Maio, del presidente della Camera  Roberto Fico, del Sindaco di Napoli Luigi de Magistris e del senatore Sandro Ruotolo – in occasione della commemorazione pubblica di Mario Paciolla a Napoli sono state un segnale positivo che però ad oggi non ha portato a risultati visibili, ci auguriamo che le istituzioni stiano continuando a lavorare in questa direzione facendo pressione sulle autorità competenti e sull’Onu affinché si portino avanti indagini effettive e trasparenti.

In un secondo articolo Claudia Duque segnalava le ambiguità e le contraddizioni della Missione di Verifica dell’Onu in Colombia mentre la famiglia lamentava la scarsa empatia nella gestione della vicenda da parte dell’Onu e il portavoce del Segretario Generale delle Nazioni Unite assicurava piena collaborazione alle indagini ribadendo però la linea del silenzio e della discrezione. Nel terzo capitolo dell’inchiesta la giornalista colombiana conferma i dubbi sull’operato della Missione Onu informando dell’indagine avviata contro quattro agenti della polizia di San Vicente per aver permesso ai funzionari dell’Onu di alterare la scena del delitto.

Tra gli scandali che vedono coinvolti il senatore ed ex Presidente della Repubblica Álvaro Uribe Vélez e l’attuale Presidente Iván Duque – il primo agli arresti domiciliari per corruzione e frode per i suoi legami con gruppi paramilitari, il secondo indagato per finanziamento illecito in relazione alla campagna elettorale del 2018 – abbiamo segnalato la capacità di analisi critica del contesto colombiano che Mario Paciolla esprimeva anche attraverso articoli minuziosi su riviste di geopolitica come Limes e Eastwest. Sottolineando la sua esperienza, che non deve essere confusa con l’inquadramento formale di “Volontario delle Nazioni Unite” e la sua professionalità. Mario scriveva con lo pseudonimo “Astolfo Bergman” sulla situazione politica e sociale colombiana e rappresentava una fonte importante in lingua italiana per comprendere il conflittuale processo di Pace colombiano.

A UN MESE E MEZZO DALLA MORTE i risultati dell’autopsia non erano ancora stati resi pubblici e le ambiguità intorno ad alcune figure della Missione di Verifica in Colombia, le quali, oltre ad essere sospettate di aver alterato la scena del delitto, pare abbiano giocato un ruolo nella divulgazione di alcune informazioni confidenziali, sono diventate sempre più forti. Secondo la ricostruzione di Claudia Duque, sarebbe stato Christian Thompson, responsabile della sicurezza della Missione delle Nazioni unite a San Vicente che era in comunicazione con Mario poco prima della sua morte, uno dei primi a trovare il cadavere di Mario Paciolla, a far ripulire la stanza con candeggina e a occultare i computer e i telefoni dati in dotazione dall’Onu all’osservatore. Thompson è un ex-sottoufficiale dell’esercito colombiano che prima di lavorare con le Nazioni unite si occupava di sicurezza per un progetto dell’Usaid in Colombia, l’Agenzia degli Stati uniti per lo Sviluppo internazionale, un’organizzazione che si occupa di promuovere la politica estera statunitense attraverso interventi umanitari, e che non a caso  è stata coinvolta in scandali legati allo spionaggio di alcuni governi latinoamericani.

L’inchiesta di Claudia Duque non si è fermata e in un nuovo articolo la giornalista ha confermato che alcune dinamiche interne alla Missione delle Nazioni Unite potrebbero aver messo in pericolo Mario Paciolla facendo i nomi di Raúl Rosende, direttore dell’area di Verificazione della Missione Onu in Colombia, e di Ómar Cortés Reyes, capitano della Marina in pensione e consulente della Missione dal 2016. Rosende, Reyes ed altri funzionari della Missione avrebbero permesso la diffusione di informazioni confidenziali relative al bombardamento di un accampamento di una cellula dissidente delle Farc compiuto delle forze armate colombiane. L’operazione militare è avvenuta il 29 agosto 2019 nei pressi di San Vicente e ha  provocato la morte di almeno 17 persone, la maggior parte delle quali minorenni. Secondo Claudia Duque, Mario Paciolla ha contribuito in maniera importante alla stesura di un report della Missione Onu riguardante il caso e tali informazioni sono filtrate dalla Missione al senatore Roy Barreras che ha chiesto spiegazioni al governo provocando le dimissioni del Ministro della Difesa Botero.

Proteste a Bogotà contro le violenze della polizia. @lapresse

 

L’indignazione della popolazione generata dall’ennesimo scandalo che ha coinvolto il governo e l’apparato militare si è sommata alla rabbia di studenti, sindacati, collettivi e organizzazioni indigene nei confronti delle riforme neoliberali e della continua violenza che colpisce i leader sociali e gli ex-combattenti e ha portato alle grandi mobilitazioni del passato novembre. Milioni di persone si sono riversate in strada fronteggiando le squadre speciali della polizia antisommossa e resistendo alla militarizzazione e al coprifuoco indetto in diverse città. La già debole leadership di Ivan Duque è stata inoltre travolta dalle recenti inchieste giudiziarie e dalla nuova ondata di proteste contro la violenza della polizia. Durante questo periodo di instabilità politica i massacri sono andati aumentando così come gli omicidi di attiviste e leader sociali. Secondo la ricostruzione di Claudia Duque l’omicidio di Mario Paciolla si inserisce in questo contesto, come “il prezzo da pagare per la caduta di un ministro”.

RESTA DA CAPIRE cosa sia successo esattamente tra il 10 e il 15 luglio, ovvero tra l’inizio delle telefonate di Mario alla sua famiglia, a cui manifestava la sua apprensione, e il giorno della sua morte. Perché se è vero che Mario si sentiva in pericolo già da diversi mesi, tanto da chiedere il trasferimento già a gennaio 2020, qualcosa negli ultimi giorni lo aveva sconvolto a tal punto da anticipare il suo ritorno a casa a poche settimane dalla fine della sua Missione. Qualcosa di grave potrebbe essere successo durante una delle ultime riunioni con i suoi colleghi dell’Onu ma il silenzio pubblico delle Nazioni Unite ad oggi non permette ricostruire gli ultimi giorni di Mario Paciolla.

 

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