È giorno fatto quando l’allarme scatta e il cielo sopra Mosca si popola. Sono come due scie che provengono da direttrici diverse, una da ovest e da una sudovest della città. Quella che fa danni è la seconda: sorvola la A-130, colpisce un palazzo di 24 piani sulla via Atlasova nel subborgo di Nuova Mosca, poi penetra i confini del Moskovskaya Koltsevaya Avtomobilnaya Doroga – il raccordo anulare di Mosca, il celebre Mkad voluto da Kruscev e terminato davvero quando il Pcus era morto e sepolto, nel ’98 – e ormai dentro la capitale russa colpisce ancora il 16esimo piano di un palazzo sulla via Profsoyuznaya, e vicino a quella, sul Leninsky Prospekt. Nel palazzo sulla via Atlasova si apre un buco, la torre residenziale della via Profsoyuznaia viene evacuata. Un drone ucraino, i pezzi di un drone ucraino abbattuto dalle difese elettroniche russe, i pezzi del missile russo che ha abbattuto un drone ucraino? Cambia poco. Mosca è ufficialmente a tiro.

MENTRE KIEV sopporta il 17esimo bombardamento missilistico pesante in un mese (terza notte consecutiva, 1 morto e 13 feriti) la notizia che anche Mosca è stata coinvolta nella sua stessa “operazione speciale” – anche se poco, pochissimo, si parla di qualche ferito leggero medicato sul posto – fa rapidamente il giro del mondo, scomoda stampa e cancellerie, provoca l’ira del Cremlino e le smentite dell’Ucraina e alleati. Non è il primo attacco sul suolo russo, non è il primo attacco su Mosca, all’inizio del mese erano stati intercettati e abbattuti droni vicino al Cremlino. Ma è il primo che colpisce davvero – poco, pochissimo, ma colpisce. E colpisce vicino al cuore del potere, nell’aera occidentale di Rublykova dove hanno le ville quelli dell’élite politico-economica – persino Putin risiede là vicino, a Novo Ogaryovo.

E PUTIN naturalmente si infuria, «noi non usiamo i metodi del banditi ucraini» dice riferendosi ai droni su Mosca. Per il suo portavoce Dimitri Peskov «è la risposta al nostro attacco a un “centro decisionale” ucraino», una sede dei servizi che sarebbe stata bersagliata con successo a Kiev. Gli ucraini smentiscono, come hanno fatto in ogni altro episodio precedente, inclusi i droni sulla cupola del Cremlino lo scorso 3 maggio. «Non ne sappiamo niente – ha detto il consigliere presidenziale ucraino Mykhailo Podolyak – ma siamo lieti di guardare e prevedere un aumento del numero di attacchi».

DI QUESTI DRONI su Mosca nessuno sa ufficialmente niente, non gli Stati uniti che hanno probabilmente rifornito il costruttore ucraino Ukrjet («Stiamo raccogliendo informazioni, in linea generale non appoggiamo attacchi sul suolo russo», fa sapere il Dipartimento di stato), non l’Unione europea che «raccoglie informazioni» anche lei, non un solo alleato. Quello che si spinge più avanti di tutti è il ministro degli esteri della Gran Bretagna, James Cleverly, in visita in Estonia: gli alleati occidentali, dice, «devono riconoscere a Kiev il diritto legittimo di difendersi entro i propri confini, ovviamente, e anche di proiettare la propria forza oltre i confini, contro obiettivi militari». Il Financial Times spiega subito che è in corso un “modellamento” del campo di battaglia per la controffensiva ucraina, imminente da mesi, per costringere il nemico a distrarre forze altrimenti schierate a difesa del vero obiettivo ucraino – quindi ogni quartiere di Mosca è obiettivo legittimo.

LA TEORIA delle armi difensive, concesse con riluttanza e sempre “a patto che”, si è sbriciolata via via che cresceva il loro calibro: dai mortai Himars ai Patriot ai carri Leopard ai caccia F-16, ogni limite è stato raggiunto e preso superato. Morti e feriti per attacchi ucraini sulla regione russa di Belgorod, dove il governatore ha denunciato un bombardamento che avrebbe colpito gli evacuati dell’attacco precedente: certo la guerra, nel suo complesso, è in ottima forma.