«Dove sbocciano i fiori», le rivolte di Corea contro la tirannia militare
Da «To where the flowers are blooming»
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«Dove sbocciano i fiori», le rivolte di Corea contro la tirannia militare

Mostra «To where the flowers are blooming» allo Spazio Berlendis, Venezia, dal 20 aprile fino al 27 novembre 2022
Pubblicato più di 2 anni faEdizione del 16 aprile 2022

«Ho ritagliato la foto dalla tua tessera scolastica e l’ho messa nel borsellino. Giorno e notte, la casa è sempre vuota, ma io preferisco comunque aspettare le prime ore del mattino, quando non c’è nessuna possibilità che passi qualcuno; allora la tiro fuori dal semplice foglio di carta ripiegato in cui la conservo e spiano le grinze che rigano il tuo viso. Non c’è nessuno che possa sentirmi, eppure lo sussurro soltanto… Dong-ho».

Sono le parole di una madre al figlio ucciso dall’esercito durante il massacro di Gwangju, nella Repubblica di Corea, tra il 18 e il 27 maggio 1980. Oltre 160 persone i morti, più di 80 gli scomparsi e circa 5.000 i feriti. La rivolta fu contenuta dai soldati, ma i resoconti del massacro non poterono essere messi a tacere. A riportare le parole della madre dello studente è Han Kang nel volume Atti umani pubblicato nel 2014 (traduzione di Milena Zemira Ciccimarra, Adelphi, 2017).

In celebrazione del Movimento di Democratizzazione del 18 maggio, la Gwangju Biennale Foundation e la città di Gwangju presentano a Venezia la mostra To where the flowers are blooming (dove sbocciano i fiori) allo Spazio Berlendis (20 aprile- 27 novembre). Il titolo è tratto da un passo di Atti umani in cui la madre racconta: «’Camminiamo laggiù, mamma, dove c’è il sole; possiamo, vero?’. Fingendo che tu fossi troppo forte per me, mi lasciavo trascinare. ’C’è il sole laggiù, mamma, e anche un sacco di fiori. Perché camminiamo al buio? Andiamo laggiù, dove sbocciano i fiori’».

Le pratiche culturali, artistiche e politiche portate avanti nello spirito della resistenza sono culminate nella Lotta di giugno (1987), che ha permesso alla Corea di raggiungere la democrazia. Per stabilire la «giustizia di transizione», i coreani si sono battuti per rivelare la verità sull’incidente, punire i responsabili, ripristinare l’onore di coloro che erano coinvolti nella protesta e ricevere un risarcimento e delle scuse dallo stato.

Tra coloro che protestavano contro la dittatura militare di Chun Doo- hwan vi era l’artista minjung Hong Sung-Dam (1955, Corea) che ha concentrato le sue energie sulla produzione di poster e street art per sostenere gli sforzi dei civili durante la rivolta. Le sue stampe hanno tentato di catturare la realtà. Le sue stampe xilografiche sono state presentate in tutto il mondo e sono state utilizzate su copertine di libri e una varietà di progetti.

In particolare, Torchlight Parade (1983) ha abbellito molte copertine di libri accademici e popolari sulla rivolta ed è diventato un simbolo per il processo democratico in Corea del Sud. Nel 1983 l’artista ha fondato una People’s Art School. Nel luglio 1989, è stato però arrestato per aver inviato diapositive di opere d’arte di artisti sudcoreani alla Corea del Nord, e quindi per presunta violazione del National Security Act. Amnesty International lo ha adottato come prigioniero di coscienza e nel 1992 è stato rilasciato.

 

SCHEDA

Fra gli eventi collaterali, c’è la Palestina a Palazzo Mora

A Palazzo Mora, fra gli eventi collaterali della Biennale, ci sarà una collettiva organizzata dal Palestine Museum US. «Siamo orgogliosi di essere stati selezionati per partecipare alla Biennale arte 2022 – ha affermato Faisal Saleh, fondatore e direttore esecutivo del museo no profit, che ha quattro anni di attività -. È una grande opportunità per compiere la nostra missione di celebrare e mostrare l’eccellenza artistica palestinese e raccontare la nostra storia a un pubblico globale attraverso il linguaggio visivo». From Palestine with (questo il titolo) presenta diciannove artisti residenti in Palestina e in paesi di tutto il mondo. Nancy Nesvet (che cura il Palestine Museum US e anche l’esposizione veneziana) ha scelto diciannove artisti per rappresentare la diversità nella mappa geografica della diaspora e nelle tecniche di espressione.
Nel percorso, ci saranno dipinti, inclusi nove ritratti di intellettuali palestinesi importanti nelle arti e nella letteratura, installazioni, sculture, fotografie e, fra le opere, una mappa storica della Palestina srotolata sul pavimento. Ci sarà anche un simbolico ulivo con le chiavi delle case dei rifugiati, a significare il diritto al ritorno. Un altro lavoro dalla valenza politica penderà dal soffitto: è il sacco avvolto in una kefiah zeppo di messaggi e lettere di profughi palestinesi di Ibrahim Alazza: lui insegna alla Northeastern University ed è uno degli artisti più giovani che espone. Ad accompagnare il tutto, un palinsesto audio che racconterà storie orali palestinesi e un flusso continuo di musica tradizionale.

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