Dove il dente di Lumumba duole
Congo/Belgio Il «prestito illimitato» di un’opera che andava restituita, la reliquia del leader eliminato nel 1961 e parole nette, ma non scuse, sul passato coloniale. La visita del re del Belgio in Congo
Congo/Belgio Il «prestito illimitato» di un’opera che andava restituita, la reliquia del leader eliminato nel 1961 e parole nette, ma non scuse, sul passato coloniale. La visita del re del Belgio in Congo
Mentre l’aereo dei reali belgi atterrava domenica mattina a Bukavu, in Sud Kivu nella Repubblica democratica del Congo (Rdc), dall’altra parte del lago Kivu venivano segnalati combattimenti tra l’esercito congolese e i miliziani ribelli del gruppo Movimento 23 marzo (M23). Un fatto non casuale, se si considera l’intensificarsi dell’insicurezza in tutta la zona orientale del grande Paese africano: il giorno dopo, lunedì 13 giugno, l’M23 ha occupato la cittadina di Rutshuru, nel Nord Kivu a nord di Goma.
Si è conclusa così la visita ufficiale di re Filippo del Belgio nel Congo appunto ex belga, la prima di un reale nell’ex-colonia che fu, a cavallo tra Otto e Novecento, proprietà personale dell’allora sovrano Leopoldo II: nella forma più celebrativa possibile, con la visita dei reali all’Ospedale Panzi di Bukavu e l’incontro con il premio Nobel per la pace 2018 Denis Mukwege, il ginecologo congolese noto come «l’uomo che ripara le donne». Dalla fine degli Anni Novanta Mukwege denuncia le violenze in quella zona della Rdc, lo stupro come “arma di guerra”, conducendo anche una battaglia contro l’impunità che circonda e incoraggia questi crimini.
NELLE SOLA PROVINCIA dell’Ituri, vicino al confine con l’Uganda, tra gennaio e maggio 72 mila persone hanno abbandonato case e terreni perché colpiti dalla violenza o per paura dei gruppi armati. Altri due milioni di sfollati stanziano da anni nella provincia del Nord Kivu e, in totale, l’Alto commissariato Onu per i rifugiati calcola in 5,6 milioni gli sfollati in tutto il Paese.
In una conferenza stampa poco prima dell’incontro con i reali, Mukwege ha denunciato la recrudescenza delle violenze nell’est della Rdc: il governo di Kinshasa accusa il Ruanda di sostenere, addestrare e armare la ribellione delle milizie ribelli, in particolare dell’M23, dando loro rifugio e supporto logistico, cosa che Kigali nega da sempre, accusando inoltre l’esercito congolese di collusione con i ribelli Hutu delle Forze democratiche per la liberazione del Ruanda (Adf).
PER MUKWEGE la responsabilità del Ruanda è indubbia: «L’aggressione è chiara» ha detto ai giornalisti, paragonando l’attuale situazione in Kivu alla guerra lanciata dalla Russia in Ucraina e chiedendo pubblicamente al Belgio di farsi portavoce internazionale di questa denuncia. «Va fermato questo umanitarismo a geometria variabile, un doppio standard” che ha l’effetto di perpetrare e aggravare «l’aggressione» ruandese nell’est della Rdc. L’M23, che si riteneva sconfitto da quasi un decennio, è ricomparso nella regione congolese dell’Ituri alla fine dello scorso anno, con un attacco contro l’esercito rivendicato tramite un comunicato stampa in cui accusava Kinshasa di non aver rispettato gli impegni per il disarmo e il reinserimento dei suoi combattenti. Molti dei quali, negli ultimi 10 anni, hanno trovato rifugio proprio in Ruanda.
NEI GIORNI PRECEDENTI all’incontro con Mukwege i reali belgi erano stati protagonisti di grandi parate a Kinshasa, dove hanno visitato il Museo nazionale e approfittato dell’evento per riconsegnare una maschera tradizionale Kakungu, usata dai Suku nei rituali di protezione e guarigione: «È un oggetto d’arte modellato in Congo dallo scultore Ngoy e portato in Belgio più di settant’anni fa da un ricercatore. Quest’opera di grande bellezza è oggetto di un prestito illimitato dal Museo reale dell’Africa centrale di Tervuren al Museo nazionale di Kinshasa», ha detto re Filippo durante la breve cerimonia di consegna del manufatto. Non si tratta quindi di una restituzione vera e propria ma, come detto dal re, di un prestito illimitato». Qualunque cosa significhi.
Al suo arrivo, in conferenza stampa con il presidente congolese Felix Tshisekedi, il re belga ha espresso il suo «rammarico per le ferite del passato» ricordando che «il regime coloniale era basato sullo sfruttamento e sul dominio. Questo regime era quello di un rapporto ineguale, di per sé ingiustificato, segnato da paternalismo, discriminazione e razzismo. Ha dato luogo a violenze e umiliazioni». Non esattamente delle “scuse” ma sicuramente parole importanti, soprattutto perché espresse per la prima volta da un reale del Paese europeo, anche se non abbastanza emotive per scaldare i cuori dei congolesi.
COME NON ABBASTANZA è stata la restituzione del dente di Patrice Lumumba, l’ex primo ministro brutalmente ucciso nel 1961 con la complicità di mercenari belgi, un omicidio che aprìrà la strada al regime di Mobutu Sese Seko.
Diversi politici, ma anche molti cittadini, si sono detti insoddisfatti delle parole di Filippo del Belgio, aprendo il doloroso capitolo delle “riparazioni” e ricordando a tutti quello che in Africa è ormai un mantra, dai palazzi di Addis Abeba fino alle baraccopoli di Monrovia: il Belgio, e l’Europa tutta, si sono sviluppati sfruttando risorse acquisite nelle loro colonie o ex-tali, che oggi chiedono il giusto supporto, dalla transizione energetica ai servizi ai cittadini fino alla sicurezza. Ed è sulla sicurezza che in Repubblica democratica del Congo tutto va a parare.
LA PRESSIONE SUL BELGIO è oggi notevole e Bruxelles è ora tenuta a far seguire fatti concreti: la grave situazione nelle province orientali è una pentola a pressione. I gruppi armati agiscono in modo sempre più forte e imprevedibile e la pressione diplomatica tra Repubblica Democratica del Congo e Ruanda rischia di far esplodere una polveriera, quella dei Grandi Laghi, mai spenta. La società delle conseguenze, anche qui presenta il conto alla Storia europea.
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