Un anno fa, in pieno agosto, si consumava un delitto politico: le forze che, per brevità, possiamo definire come della «non-destra» si consegnavano divise ed inermi alla più che annunciata vittoria della destra. I dettagli di cronaca di quei giorni sono noti, ma saranno forse gli storici del futuro a ricostruire per intero lo scenario in cui maturano quegli eventi, con il peso che ha avuto la guerra iniziata pochi mesi prima. Oggi ciò che conta politicamente è altro: si sta veramente pensando ad evitare un remake del 25 settembre 2022?

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Proviamo a mettere alcuni punti fermi. Il primo è dato dai vincoli del sistema elettorale. L’attuale legge elettorale non cambierà, e quindi rimane la necessità di costruire una coalizione preventiva, se si vuole che le elezioni siano davvero aperte e competitive. Per una volta, possiamo anche mettere da parte i consueti, e spesso ben giustificati, lamenti sugli errori e i limiti delle «non-destre»; i principali protagonisti stanno dimostrando una certa saggezza politica: da un lato, si cercano e si stanno trovando terreni programmatici comuni; dall’altro, si stanno evitando (tra Conte e Schlein, soprattutto) polemiche dirette e distruttive sui temi più divisivi, che avrebbero il solo risultato di lasciare macerie alle spalle.

Quindi, una road map sembra obbligata: proseguire in una paziente opera di mediazione e di convergenza, su quanti più possibile argomenti, che faccia crescere agli occhi dell’opinione pubblica la credibilità di un possibile schieramento alternativo. Basterà? No, di certo. Resteranno molti temi su cui è difficile ipotizzare un vero e completo accordo politico, a cominciare purtroppo dalla questione della guerra in Ucraina. L’unica possibile via è quella di percorrere la strada che non si è saputo, o voluto, percorrere lo scorso anno: un ampio accordo elettorale che non implichi, necessariamente, una convergenza politica e programmatica integrale.

Troppo astruso? Non direi. Sarebbe davvero così incomprensibile se ci si rivolgesse agli elettori dicendo: «È vero, su molte cose siamo d’accordo, su altre la pensiamo diversamente: ma pensate che, per questo, dovremmo (un’altra volta!) regalare alla destra la vittoria su un piatto d’argento!. E il governo? Si vedranno poi i rapporti di forza in parlamento, siamo in una democrazia parlamentare, è una pura sciocchezza dire che bisogna conoscere il nome del vincitore la sera stessa delle elezioni».

Certo, un discorso di questo tipo presuppone un altro elemento: che le forze della «non destra» presentino subito una proposta di riforma elettorale in senso proporzionale, che abbia al suo centro anche un elemento che potrebbe risultare molto apprezzato e popolare nell’opinione pubblica: ridare agli elettori un potere di scelta sugli eletti. Così come si è fatto sul salario minimo, sarebbe necessario presentare un disegno di legge condiviso, su cui lanciare una campagna politica nel paese.

Oggi, ci sono oggi le condizioni politiche per un accordo delle opposizioni su una proposta di riforma elettorale in senso proporzionale. Ma anche dentro il Pd si impone un chiarimento e occorre che emerga pienamente un dibattito finora rimasto ovattato da troppi diplomatismi interni: i fautori della «cultura del maggioritario» dovrebbero finalmente prendere atto che questa prospettiva ha portato lo stesso Pd in un vicolo cieco: una effettiva capacità di direzione politica, da parte di questo partito, potrà esprimersi solo in un contesto strategico completamente diverso, con la costruzione di un’alleanza che non potrà non essere plurale. È meglio pensarci per tempo.