Don Carmelo La Magra saluta l’isola: «Lampedusa è una grande occasione»
Mediterraneo Il parroco ripercorre i cinque anni di impegno nella comunità di frontiera. Con un dispiacere
Mediterraneo Il parroco ripercorre i cinque anni di impegno nella comunità di frontiera. Con un dispiacere
Don Carmelo La Magra ha detto l’ultima messa nella sua Lampedusa. Dopo cinque anni sull’isola più meridionale d’Italia il parroco, nato a San Giovanni Gemini 42 anni fa, si trasferisce a Racalmuto (Agrigento). «Normale decorso», racconta a il manifesto.
Cosa ha detto ai lampedusani nell’ultima omelia?
Ho espresso la mia gratitudine per un’esperienza straordinaria e ho chiesto di ricordare sempre che vivere in questo luogo può sembrare un impedimento ma è una grande occasione di essere presenti al passaggio della storia. Anche per la comunità cristiana Lampedusa è un’importante possibilità di incontro con l’altro.
Cosa la sorprese di più all’arrivo in quella terra di frontiera?
La capacità di vivere una vera esperienza comunitaria. In un posto così piccolo tutto girava intorno alla comunità parrocchiale. Era impossibile non dirsi le cose. Bisognava incontrarsi pure nei disaccordi. Questo è stato d’aiuto anche sull’arrivo dei migranti. Ci si doveva confrontare per forza, condividere le idee e fare ognuno la propria parte.
Andando via cosa si porta dietro?
Moltissime relazioni con gente di Lampedusa, del resto d’Italia e del mondo. I volti di tutti quelli che ho incontrato sull’isola senza conoscerne il nome. L’amarezza per le cose che potrebbero essere migliorate ma rimangono uguali. E poi le storie di chi non ce l’ha fatta.
Lampedusa è stata spesso raccontata come un modello di accoglienza. In altre occasioni la comunità è apparsa divisa rispetto all’arrivo dei migranti. Lei cosa ha visto?
Lampedusa non è un posto diverso dagli altri. Ci vive gente diversa, come nel resto del mondo. C’è chi è molto accogliente e si fa carico dei migranti e dei loro problemi. C’è chi è indifferente. Qualcuno è anche ostile. Lampedusa è una grande occasione per chi riesce a coglierla dando il meglio di sé.
Nel 2019 ha dormito sul sagrato mentre 42 naufraghi erano bloccati a bordo della Sea-Watch 3. È stato impegnato col Forum Lampedusa solidale aiutando chi sbarca. Ha sempre difeso la dignità dei profughi. Ha ricevuto critiche per questo?
Sempre. Ma a volte le critiche confermano che siamo sulla buona strada. È quando tutti applaudono che forse stiamo sbagliando. Per me, per un prete, per il Forum finché si rimane dal lato dei poveri, di chi ha bisogno, si è dalla parte giusta. Quando incontrai il Papa mi disse semplicemente: «Continuate così». L’incoraggiamento più grande, oltre le piccole critiche.
Ha scritto che se ne va con un dispiacere. Quale?
Di non vedere recuperati i corpi delle vittime del naufragio del 30 giugno. Sono ancora in fondo al mare, a circa 80 metri di profondità, tra Lampedusa e Lampione. Dicono che recuperarli sia troppo costoso. Quelle vite, quei corpi, non valgono abbastanza soldi. Mi chiedo se lì ci fosse un italiano, se ci fossi io, cosa accadrebbe. Certamente si sarebbe fatto il recupero. Sopra quel mare dove passano le barche dei turisti, su quel fondale dove si fanno le immersioni, giacciono nove corpi che attendono una sepoltura dignitosa, ma finora nessuno ha fatto niente.
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