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DOK Leipzig 66, l’animazione infiltra il documentario

DOK Leipzig 66, l’animazione infiltra il documentario

Festival Alla sua 66ª edizione, dall'8 al 15 ottobre, la kermesse tedesca istituisce un nuovo premio per lungometraggi animati

Pubblicato 12 mesi faEdizione del 7 ottobre 2023

Un paio di forbici a lame lunghe, appuntite, semi-divaricate e appoggiato su una punta, eretto come un ballerino, su campo rosso. Poche scarne informazioni essenziali in caratteri bianchi informano quanto basta su DOK Leipzig. Strumento pronto a tagliare il superfluo, a sfoltire sezioni e rimodellare programmi, ma anche a segnare discontinuità –organizzativa? culturale? politica?- nella storia del primo festival di cinema documentario del mondo fondato nel 1955. Realizzato dal grafico cittadino Stefan Ibrahim, il manifesto trae spunto da un ordinario paio di forbici trovato nel magazzino del festival, con altri di vario tipo pronti a comparire nei prossimi giorni.

«Come negli anni precedenti, abbiamo scelto di proposito un oggetto quotidiano che potesse essere associato a molte cose» – spiega il direttore del festival Christoph Terhechte – «le forbici sono uno strumento per modellare e formare oggetti. Ogni giorno sono utilizzate per diversi tipi di arte, inclusa l’animazione. Le forbici creano cose nuove e ottengono chiarezza; possono anche simboleggiare il liberarsi e adottare una nuova prospettiva. I film che presentiamo usano anche mezzi artistici per presentare ritagli del mondo e offrire sguardi freschi».

Tanto per cominciare quindi alla sua 66ª edizione, DOK Leipzig (ott. 8-15) istituisce il nuovo premio per lungometraggi animati. Così dopo qualche anno in cui il film a «passo uno» sembrava perdere una sua presenza specifica nel festival internazionale del film documentario e d’animazione, Terhechte dà seguito alla sua intenzione, annunciata 3 anni fa, di dare più risalto ai lunghi animati con un’apposita competizione. «Ogni anno abbiamo visto lungometraggi animati di altissima qualità artistica» evidenzia il direttore, da cui la decisione di assegnare una colomba d’oro oltre che a un lungometraggio documentario, anche a un lungo animato «come abbiamo fatto per i cortometraggi». Quindi il nuovo assetto si riduce a 4 competizioni inclusive dei formati lunghi e corti: quelle internazionali per il documentario e per l’animazione, per il film documentario tedesco e il premio del pubblico. Ci saranno comunque premi diversificati per lunghezza con soglia di demarcazione di 40 minuti. In tutto sono circa 200 i film proiettati durante la settimana su vari schermi di Lipsia, di cui 71 in gara e 35 in prima mondiale.

Rispetto alle ultime edizioni cambia anche l’approccio dei film. Osserva Terhechte: «Parecchi film realizzati durante la pandemia avevano un punto di vista personale. Quest’anno i film sono tornati a considerare tematiche sociali e politiche più ampie, in modo da capire un po’ cosa sta succedendo al momento e esplorare come possiamo lavorare per un futuro diverso». La sezione internazionale di film documentari comprende 10 lungometraggi e 13 corti di paesi fra cui Azerbaijan, Burkina Faso, Croazia, Madagascar, Filippine, Serbia, Corea del Sud e Ucraina, sia opere prime che lavori di registi consolidati. Peter Mettler riflette su cicli di vita e esistenza umana in While the Green Grass Grows. Nikolaus Geyrhalter presenta in prima mondiale il suo ultimo film, The Standstill, che osserva il picco pandemico da Covid-19 a Vienna da marzo 2020 a dicembre 2021. In The Wages of John Pernia, Ben Young indaga una storia d’amore omosessuale nel Wild West. Beauty and the Lawyer narra la vicenda di una giovane famiglia armena che prova a far valere una normalità per sé e gli altri. In Kumva – Which Comes from Silence, dei sopravvissuti dal genocidio del 1994 in Rwanda affrontano le loro esperienze traumatiche. Where Zebus Speak French visita una comunità di villaggio malgascia che resiste contro un progetto di costruzione dettato dall’avidità capitalistica.

La sezione internazionale di film animati presenta 27 produzioni da Germania, Canada, Colombia, India, Spagna, Taiwan fra gli altri. Di queste, cinque lungometraggi sono in gara per il Golden Dove. Nel film ibrido Johnny & Me, un’artista grafica si immerge nel lavoro satirico dell’artista di fotomontaggio antifascista John Heartfield. Anche Knit’s Island cavalca il confine –ammesso che esista ancora- fra documentario e animazione: completamente all’interno di un gioco online, gli autori intervistano altri giocatori dentro una distopia virtuale. No Changes Have Taken in Our Life racconta la storia della difficoltà di un suonatore di sousafono a trovare lavoro in Cina dopo essersi diplomato alla scuola di musica. Due differenti storie di formazione sono al centro di Tender Metalheads e When Adam Changes. Mentre gli amanti di heavy metal trovano amicizia e rifugio attraverso la passione condivisa per la loro musica, Adam nota quanto la critica del suo aspetto trasformi di fatto il suo corpo. Il lungometraggio animato Sultana’s Dream, in cui una giovane donna spagnola va alla scoperta dell’utopica terra delle donne, viene proiettato fuori concorso.

Fuori concorso e fuori dagli schemi è la sezione Camera Lucida che raggruppa cinque estremi film d’autore che sfidano il cinema convenzionale. Jim Finn ritorna al festival con The Apocalyptic is the Mother of All Christian Theology, un umoristico montaggio psichedelico sull’impatto dell’apostolo Paolo. In Man in Black, il compositore Wang Xilin, che si esibisce nudo, affronta «la crudeltà del regime comunista in Cina». The Tuba Thieves esplora il significato di suono e ascolto; Feet in Water, Head on Fire avvicina passato e presente nella sua contemplazione delle palme da dattero californiane; e in Play Dead! Matthew Lancit usa l’orrore corporale in prima persona per affrontare la sua paura delle conseguenze di avere il diabete.

Infine per il premio del pubblico (rappresentato invero da una ristretta selezione di 5 cinefili locali) concorrono 8 lungometraggi documentari, in parte già visti in altri festival, come nel caso di Bye Bye Tiberias, già alla mostra del cinema di Venezia, in cui l’attrice Hiam Abbass (Blade Runner 2049) riporta la figlia al villaggio palestinese che una volta chiamava casa. C’è anche Vista Mare, uno sguardo dietro le quinte delle vacanze balneari italiane.

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