La redazione consiglia:
Argentina, processo politico. Sei anni a Cristina KirchnerIl magnifico film di Santiago Mitre presentato alla Mostra di Venezia ed ora candidato agli Oscar, Argentina 1985 arriva nelle nostre sale dopo aver fatto un giro di presentazioni in tutto il mondo, visibile anche su piattaforma. La chiarezza della narrazione di uno dei momenti cruciali della recente storia argentina, il processo alla giunta militare che portò alla condanna dei responsabili di un genocidio, lo rende necessario e l’emozione che trasmette è quasi unica nel panorama del cinema in generale. In questi mesi di promozione molto si è parlato delle difficoltà di averlo dovuto girare in pandemia, della commozione che ha suscitato tra le maestranze durante le riprese della scena finale, la storica condanna di Videla, Massena e degli altri militari.

Santiago Mitre, il regista

È un film che sembra parlare direttamente alla nuova generazione, per raccontare un momento cruciale della storia, ma soprattutto per la grande fiducia che ripone nei giovani. Il procuratore Julio Strassera (Ricardo Darín con il suo genio interpretativo) si circondò di ragazzi appena usciti dall’università per portare a termine in soli tre mesi il lavoro di raccolta delle prove e dei testimoni di omicidi, sequestri e torture, affiancato da un procuratore aggiunto appena trentenne, Moreno-Ocampo (Peter Lanzani) mostrando il passaggio di testimone verso una nuova società. Viviamo un’epoca di fragilità per la democrazia, per questo il film ha successo anche in altri paesi che non siano l’Argentina

APPARTIENE alla nuova generazione anche Santiago Mitre, classe 1980, esponente ormai celebre del nuovo cinema argentino. Con questo film indica chiaramente nomi, date, fatti, come a mostrare il livello raggiunto in Argentina del lungo lavoro sulla memoria. Lo si poteva cogliere anche nel cinema dove, dopo un periodo di amnesia, di cancellazione del recente passato o dove i fatti venivano appena accennati o simbolicamente espressi (con le eccezioni di La notte delle matite spezzate di Hector Olivera (’86) e la Historia oficial di Luis Puenzo non a caso realizzati in seguito al successo del processo alla giunta), una generazione di giovani con il nuovo cinema argentino ha cominciato a mettere a fuoco la società.
A Santiago Mitre che ha allargato per la prima volta lo sguardo anche all’intero continente con un film come La cordillera (distribuito come «Il presidente») chiediamo come il film è stato accolto negli altri paesi latini che hanno subito dittature: «È stato importante vedere la reazione degli altri paesi del Latinoamerica che hanno vissuto dittature, dove non ci sono stati processi, come il caso cileno o la Spagna. Il film è stato visto come un modello e provocava dolore perché in questi paesi non si era riusciti a fare lo stesso. Anche in paesi che non hanno vissuto dittature come negli Stati uniti hanno associato quei fatti alla vicenda dell’assalto al Campidoglio. Viviamo un’epoca di fragilità per la democrazia, per questo si dà tanta importanza alla giustizia e per questo il film ha successo anche in altri paesi diversi dall’ Argentina».

MITRE ha iniziato a scrivere per il cinema con Pablo Trapero, che nel nuovo cinema argentino ha rappresentato l’ala più politica. Si è arrivati forse con Argentina 1985 alla conclusione di quel lungo lavoro sulla memoria? «Non direi che questo film è un punto di arrivo, diciamo che è una maniera diversa, contemporanea di raccontare un fatto, che è quello che l’arte ha sempre cercato di fare, portare avanti quasi una lotta che può essere anche lotta politica. La mia arte è fare cinema, il mio film è così perché rispecchia il mio modo di fare cinema. Il nuovo cinema argentino rimetteva in relazione il cinema con la realtà. Trapero, Lucrecia Martel, Caetano hanno creato un nuovo modo di guardare. Quando ho cominciato a studiare cinema Trapero aveva già fatto il suo primo film, poi ho avuto la possibilità di lavorare con lui, quindi ho imparato qualcosa da lui, ma poi ho fatto i film alla mia maniera, a me interessa proprio la politica come tema, come universo, mi interessa fare film che parlino di questo universo rispettando la relazione che hanno con la realtà». Che racconto arrivava della dittatura a un ragazzo degli anni Ottanta come lui? «Vengo da una famiglia molto compromessa politicamente, si parlava sempre della dittatura, anche se fortunatamente non abbiamo avuto nessuna vittima. Mio padre lavorava nel campo giuridico e in casa parlava del valore della giustizia, mio bisnonno era avvocato e anche il mio trisavolo. Per il resto a scuola tutto si riduceva a pochi paragrafi in fondo al libro. Per fare questo film ho molto studiato, ho fatto un grandissimo lavoro di ricerca. Per la parte giuridica ci ha aiutato molto Ocampo in persona, su come fosse la procedura per trattare con i testimoni, quale la maniera precisa di parlare. Mi hanno anche aiutato molto persone che lavorano nel campo della difesa dei diritti umani»

OGGI tutta l’Europa mostra uno spostamento a destra, mentre il continente latinoamericano sembrerebbe andare a sinistra: «Sono successe cose orribili anche nei paesi latinoamericani come l’attentato alla vice presidente della repubblica, avvenuto proprio mentre eravamo alla Mostra di Venezia. Pensavamo fosse finito per sempre, che si fosse realizzato quel «Nunca mas», mai più, che si dice alla fine del film, ma non è così. Da poco sono successi i fatti al palazzo del governo in Brasile, quindi anche in latinoamerica ci sono rigurgiti di destra, non solo in Europa, la destra sta guadagnando consenso. Però la giustizia continua a fare il suo corso, sono state emesse migliaia di condanne e si continuano a fare processi. È diventata una specialità dei giuristi argentini».