Cultura

Distopici ecosistemi illuminano Berlino

Distopici ecosistemi illuminano BerlinoElvia Wilk, foto di Nina Subin

ELVIA WILK Parla la scrittrice statunitense oggi al Festivaletteratura con «Oval» (Zona 42). Nel libro un ambiguo esperimento a emissioni zero deve diventare di esempio per l’intero pianeta. «Cosa è naturale e cosa è artificiale? Una finta montagna incarna questo paradosso così pervasivo».

Pubblicato circa 4 anni faEdizione del 12 settembre 2020

Berlino è un agglomerato di immaginazione urbana nel cui sfondo balugina la Berg, esperimento ecosostenibile a cui adattarsi. Per il bene dell’umanità e per un avvenire verde di cui si faranno carico gli e le abitanti. L’intersezione che emerge dal brillante esordio letterario di Elvia Wilk, Oval (edito da Zona 42, pp. 352, euro 16,90, traduzione di Chiara Reali) è tra alcune categorie del tempo presente: in particolare lo sfascio climatico e quello urbano e ciò che provoca la richiesta capitalistica di porvi rimedio. Ne abbiamo parlato con la scrittrice statunitense oggi ospite al Festivaletteratura di Mantova.

Da dove nasce l’idea della Berg?
Era una proposta progettuale speculativa di Mila Architects che risale al 2009, si trattava di una montagna artificiale da costruire su Tempelhofer Feld. Tempelhof, un ex campo aeroportuale, è attualmente il più grande spazio pubblico non sviluppato d’Europa e per decenni il governo della città ha promosso un insieme di schemi di sviluppo pubblici e privati. L’idea di Mila era piuttosto semplice: invece che sviluppare lo spazio con abitazioni, musei o altro, hanno scherzosamente proposto che avremmo potuto costruire una montagna sul campo d’aviazione e raddoppiare lo spazio verde urbano. Tutto lo spazio naturale nelle città è comunque circoscritto artificialmente. Quindi, invece di condomini o musei o di un parco pubblico progettato con cura, perché non un cumulo di terra che le persone possano scalare in estate e su cui sciare in inverno?
Era un’affermazione affascinante: alle volte non costruire qualcosa è il modo migliore di gestire lo spazio urbano, invece di aumentarne la densità e renderlo appetibile per gli investitori. D’altra parte, una montagna è un enorme intervento, quindi aveva una dimensione ironica: megalomane ma resa naturale. È importante precisare però che gli architetti non hanno mai proposto di costruire effettivamente la montagna, piuttosto di installarla nell’immaginario pubblico. Hanno agito come se la montagna fosse già stata costruita, lanciando una campagna pubblicitaria di successo con cartoline e souvenir. Come la Torre Eiffel, la Berg non ha bisogno di essere vista di persona – o addirittura di esistere – per diventare un’icona della città. Questo progetto di architettura speculativa di grande successo richiedeva praticamente di essere ulteriormente espanso nella fiction, e ho deciso di adottarlo per le mie speculazioni. I due personaggi principali del libro vivono in un eco-insediamento semi-distopico sul fianco della montagna, che è una mia invenzione, non inclusa nella proposta di Mila.

La montagna si trova al centro della città. Questa idea-metafora crede possa avviare una riflessione riguardo la nostra contemporaneità?
I personaggi principali di Oval, una coppia di nome Anja e Louis, fanno parte del progetto pilota e vivono in un eco-insediamento sulla montagna, quasi completamente soli. La loro esistenza sulla montagna è sia una manifestazione dell’isolamento che provano nella loro relazione, sia un punto di partenza per i loro dilemmi etici e politici su come vivere una vita sostenibile. Cosa è «naturale» e cosa è «artificiale»? Una finta montagna incarna perfettamente questo paradosso così pervasivo nella nostra vita quotidiana.
A un certo punto della storia, di notte, Anja guarda la città di Berlino dall’alto della Berg. Vede i lampioni su entrambi i lati della città, l’ex Berlino Est e Ovest, che sono di colori diversi: è ancora così, perché le diverse parti usavano potenze diverse e sono passate dal gas all’elettricità in momenti diversi. Ma nella Berlino immaginaria del libro, Anja vede lampade verdi – alimentate a energia solare ed efficienti dal punto di vista energetico – diffondersi dalla base della montagna, cancellando la precedente distinzione tra Est e Ovest, instillando un nuovo tipo di ideologia che riscrive il passato o lo rende meno visibile.

Le relazioni sono merci. Anche quella tra Anja e Louis lo è? Che cosa manca loro?
Anja e Louis lottano per andare contro modalità comportamentali ereditate e si sporgono sul modello di relazione idiosincratico e auto-inventato che desiderano avere, in cui si possono prendere decisioni consapevoli. Gran parte del modo in cui si relazionano è circoscritto alle norme di genere. La loro intimità è provata, assomiglia ai tropi della cultura pop e, nonostante il loro amore reciproco, hanno difficoltà a trascendere i loro ruoli. Molti dei personaggi di Oval cercano di forzare i vincoli dei propri ruoli di genere. Sia gli amici che gli amanti cercano costantemente di inventare un vocabolario per dire la propria esperienza, perché quelli che ci vengono dati – dai mass media, dalla psicologia pop, dal capitalismo – sono piuttosto impoveriti quando si tratta di descrivere o articolare come ci sentiamo effettivamente con noi stessi e in rapporto agli altri.

Oval è anche il nome di una pillola capace di non inibire la generosità. Il capitalismo si appropria delle fragilità per servirsene e manipolarle?
Sviluppata da Louis, la pillola ha lo scopo di indurre la generosità finanziaria in chi la assume e Louis la presenta al pubblico tramite degli spacciatori nei locali notturni, quindi i giovani festaioli sono i primi a sperimentarla, e da lì si diffonde. Secondo Louis, la pillola si limita a «rimuovere» il capitalismo o i desideri capitalistici dal cervello, rendendoci compulsivamente generosi. Naturalmente, essere generosi con i propri soldi o possedimenti non abolisce l’idea di proprietà privata, crea solo una relazione filantropica su piccola scala. Mira alla ridistribuzione, ma in realtà rafforza il potere del denaro e della proprietà come unici mediatori di compassione o empatia, equiparando erroneamente la donazione finanziaria al sentimento empatico. Louis può solo immaginare la generosità correlata al consumo. Sposa l’idea che l’empatia sia solo un pulsante che si può premere, i cui effetti si possono misurare. Poi di nuovo, la questione del movente o dell’intenzione diventa esplicita quando viene introdotto Oval. Ha importanza se l’attività politica è una performance? Ha importanza se è indotta chimicamente? È necessario che la gentilezza sia guidata dalla consapevolezza e dalla compassione se ha effetti materiali? Ha importanza da dove provenga l’impulso a dare e se il denaro è tutto ciò che abbiamo da dare?

Lavori inutili, controllo, esperimenti che cercano di rimediare al disastro. È uno scenario molto vicino a questo presente.
Nella prima parte del libro Anja perde il lavoro di scienziata per una grande azienda e viene riassunta come consulente, che è chiaramente un «lavoro di merda» nella definizione di David Graeber (sono così triste che lo abbiamo appena perso!). Lui ha scritto: «È come se qualcuno fosse là fuori a inventare lavori inutili solo per il gusto di tenerci tutti a lavorare». Come consulente Anja non fa più ricerche, ma diventa un inutile supervisore o amministratore che mantiene lo status quo inventando nuovi parametri per giudicare le prestazioni dei lavoratori. Da parte sua, Louis è anche un consulente, ma è un artista-consulente che lavora per una ong. Il suo lavoro è l’emblema di un tipo sempre più prolifico di rapporto creativo-aziendale. Parte del motivo per cui i lavoratori creativi sono utili in contesti come il settore non profit o quello delle corporation, è che possono offrire critiche implicite per il solo fatto di essere presenti, in modo che la macchina aziendale possa infliggersi delle piccole punizioni (puramente di facciata) e continuare per la propria strada. La criticità è insita nei processi aziendali come forma di auto-validazione, il che complica ogni chiara dicotomia tra complicità e criticità nell’arte e nella vita politica in generale. E questo è esattamente ciò che fa qualsiasi consulente aziendale: offrire una critica che si convalida e assolve l’istituzione da qualsiasi cambiamento sistemico.

Nel suo libro le case sono corpi. Le case sono in rovina, si decompongono, sono stanche. Come noi.
Molti lettori hanno menzionato il senso pervasivo di decadimento e degrado nel libro. Volevo catturare la sensazione di putrefazione e disintegrazione di cui il capitalismo riempie le nostre vite. Le nostre infrastrutture stanno cadendo a pezzi, le nostre case sono troppo costose da riparare, la nostra vita lavorativa è sempre più straziante. D’altra parte, il decadimento è motivo di crescita e rigenerazione.
Immaginando un ecosistema urbano come un insieme di processi organici sono stata in grado di immaginare una sorta di crescita naturale-artificiale in mezzo alla decomposizione di un sistema sociale, sistema economico e stile di vita. Spero che il capitalismo decada. Spero che allo stesso tempo qualcosa fiorisca tra le sue rovine.

*

SCHEDA. Brevi cenni bio-bibliografici

Scrittrice, giornalista ed editor, Elvia Wilk è oggi ospite a Festivaletteratura nell’ambito dell’incontro «Consapevolezza verde» (è il terzo del ciclo di appuntamenti radiofonici) alle 10; conducono Matteo De Giuli e Nicolò Porcelluzzi.
Parlerà del suo esordio letterario «Oval», uscito nel 2019 e pubblicato di recente in Italia per Zona 42. Elvia Wilk ha 31 anni e vive tra Berlino e New York. Scrive poesie ma i suoi interessi sono transdisciplinari, come emerge dai saggi critici e dalle sue recensioni pubblicati su diverse riviste: «frieze», «Artforum», «e-flux» e «Mousse».

ABBONAMENTI

Passa dalla parte del torto.

Sostieni l’informazione libera e senza padroni.
Leggi senza limiti il manifesto su sito e app in anteprima dalla mezzanotte. E tutti i servizi della membership sono inclusi.



I consigli di mema

Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento