A sei mesi esatti dal golpe che il primo febbraio scorso ha ripristinato il potere militare in Myanmar, ieri piccoli gruppi di studenti hanno sfidato la giunta percorrendo in moto le strade di Mandalay, la capitale storica del Paese e dove è iniziata la rivolta contro i soldati di Tatmadaw: sventolavano bandiere rosse e verdi e inneggiavano alla lotta senza quartiere.

NELLE STESSE ORE Human Rights Watch chiedeva ai governi del mondo di muoversi contro i responsabili di crimini contro l’umanità: «La giunta del Myanmar ha risposto alla massiccia opposizione popolare al golpe con uccisioni, torture e detenzioni arbitrarie di persone che semplicemente vogliono i risultati delle elezioni dello scorso anno – che devono essere rispettati – e un governo che rifletta la volontà popolare», dice Brad Adams, direttore di Hrw-Asia.

«Questi attacchi alla popolazione costituiscono crimini contro l’umanità di cui i responsabili dovrebbero essere chiamati a rispondere». La lista è lunga: polizia e soldati hanno ucciso almeno 940 manifestanti e passanti, tra cui circa 75 bambini; fatto sparire con la forza più di cento persone; torturato e violentato un numero imprecisato di detenuti e arrestato diverse migliaia di persone imprigionate arbitrariamente.

HRW CHIEDE AZIONI mirate contro gli individui, embargo globale sulle armi e restrizioni finanziarie per ridurre le entrate della giunta dalle industrie estrattive tra cui il gas, la maggior fonte di valuta per Tatmadaw che incassa circa un miliardo di dollari l’anno in dazi, tasse, royalty, commissioni e tariffe.

Nel mirino le aziende petrolifere ma, come il manifesto ha documentato nei giorni scorsi, gli attori sono tanti a cominciare dalle banche che sostengono più o meno direttamente le aziende che lavorano con la giunta.

Ma è difficile che i governi si muovano: nessuno ha riconosciuto il Nug, l’esecutivo clandestino e, se qualcosa si è ottenuto, lo si deve agli attivisti, alle campagne sui legami «sporchi» con le aziende di Stato e alla pressione dei birmani all’estero che instancabilmente continuano a promuovere azioni globali: la prossima l’8 di agosto in una data simbolo (8.8.88) a ricordo del martirio dell’estate del 1988. In Italia, dopo Roma, Milano e Venezia, si terrà nel Comune di Auronzo di Cadore, nelle Dolomiti.

Il Paese intanto attraversa una crisi Covid senza precedenti (verso i 10mila decessi) tanto che l’ambasciatore della Gran Bretagna all’Onu ha detto giovedì scorso che la metà dei 54 milioni di birmani potrebbero essere infettati nelle prossime due settimane. L’inviato Onu per il Myanmar ha chiesto alle Nazioni unite di garantire una consegna efficace dei vaccini.

Ma le notizie dal Paese dicono di un uso politico-militare di vaccini e ossigeno. Tutto viene requisito e centralizzato da Tatmadaw per andare solo dove i militari vogliono. La gente si affida alla solidarietà di parenti e amici e appende fuori dalla porta di casa uno straccio giallo se è malata e ha bisogno di trattamento; bianco invece se ha bisogno di cibo.

E CONTINUANO sia gli operativi militari delle Ethnic Armed Organisations (Eao, eserciti delle autonomie) – gli ultimi nello Stato Shan e nel Kachin – sia azioni mirate con bombe fatte in casa o veri e propri omicidi. Solo venerdì una decina di persone (politici locali, informatori, cittadini pro giunta) è stata uccisa da sconosciuti.

Nel mirino dei dinamitardi invece, uffici amministrativi, scuole, stazioni di polizia. In questa situazione è difficile capire se le misure di contenimento del virus non siano in realtà modi per contenere, più che il Covid, la protesta popolare.