Diffuse verbali segreti, Davigo condannato
Brescia L'ex magistrato simbolo di Mani pulite riconosciuto colpevole in primo grado per aver trasmesso a una decina di persone dentro e fuori il Csm le accuse di Amara sulla presunta loggia Ungheria. Farà appello. Il sarcasmo degli avvocati penalisti: adesso apprezzerà la presunzione di innocenza
Brescia L'ex magistrato simbolo di Mani pulite riconosciuto colpevole in primo grado per aver trasmesso a una decina di persone dentro e fuori il Csm le accuse di Amara sulla presunta loggia Ungheria. Farà appello. Il sarcasmo degli avvocati penalisti: adesso apprezzerà la presunzione di innocenza
Curioso destino per un ex magistrato convinto che in Italia sia troppo facile fare appello contro le sentenze di condanna. E la colpa sarebbe della regola per cui se ad appellarsi è l’imputato, i giudici di secondo grado non possono aggravargli la pena (si chiama divieto di reformatio in peius). «Ma così il condannato non rischia niente! E i processi si fanno con i soldi dei contribuenti!!» ha sempre detto Piercamillo Davigo. Proprio lui ieri ha immediatamente annunciato che presenterà appello contro la sentenza del tribunale di Brescia che lo ha condannato a un anno e tre mesi (pena sospesa e non menzione) per rivelazione di segreto d’ufficio. Si tratta della vicenda dei verbali segreti di Pietro Amara sulla presunta loggia Ungheria, consegnati dal pm di Milano Storari a Davigo, all’epoca consigliere del Csm, e da Davigo fatti conoscere a una decina di soggetti (l’intero ufficio di presidenza del Csm di allora, altri sei componenti del Csm e un paio di assistenti dei consiglieri, oltre al parlamentare 5 Stelle all’epoca presidente della commissione Antimafia).
Un fatto che Davigo ha ammesso durante il processo, ma che non è stato considerato reato né in primo né in secondo grado per il pm Storari, che nel consegnare i verbali a Davigo si sarebbe fidato delle sue false rassicurazioni sulla liceità della consegna. Non si trattò invece di una regolare trasmissione di atti al Csm, ma di una consegna a domicilio di una chiavetta contenente l’interrogatorio grezzo, non firmato, di Amara, nel quale l’ex consulente dell’Eni coinvolgeva diverse persone nella presunta loggia segreta. Tutte carte poi finte ai giornali. La mossa di Storari fu determinata dalla convinzione che il procuratore di Milano Francesco Greco – ex collega ma non amico di Davigo nelle inchieste di Mani Pulite – stesse insabbiando le scottanti rivelazioni. Per questa presunta inerzia Greco è stato anche lui indagato, e archiviato, a Brescia, mentre a Perugia sono state archiviate perché non riscontrate le accuse di Amara.
L’unico condannato dunque è Davigo, anche se solo in primo grado e «per fortuna sua e di tutti noi la presunzione di non colpevolezza continua ad assisterlo», come dichiara con sarcasmo l’unione delle camere penali, essendo gli avvocati penalisti tenaci avversari del sostanzialismo di Davigo. «Solo in questo paese sbandato e in questo tempo sbandato si poteva dubitare che un reo confesso non venisse condannato solo perché ha indossato la toga», il commento invece di Fabio Repici, che nel processo ha rappresentato Sebastiano Ardita, magistrato già braccio destro di Davigo nella corrente della magistratura da lui fondata da una scissione nella destra togata, poi divenuto suo avversario. Ardita infatti era stato inserito da Amara nell’elenco dei presunti soci della loggia occulta, cosa che Davigo apprese dalla lettura dei verbali segreti consegnatigli nella sua casa di Milano da Storari. Ardita si è dunque costituito parte civile nel processo e ha ottenuto la condanna dell’ex amico Davigo a risarcirlo con 20mila euro.
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