E’ il 20 aprile scorso quando il sindaco di Roma Roberto Gualtieri consegna alla sua maggioranza un plico con dei grafici. Contengono le coordinate per orientarsi nell’eterna emergenza spazzatura della capitale. A partire da un pugno di cifre essenziali: la città, recitano i diagrammi, produce un milione e settecentomila tonnellate all’anno di rifiuti, circa 4.400 al giorno. Per gestire questa montagna di immondizia si spendono 820 milioni di euro all’anno, dei quali 182 per lo smaltimento e 277 per la raccolta. Gualtieri, com’è noto, annuncia che l’unico modo per chiudere il ciclo dei rifiuti sul territorio romano, e riuscire a trattare tutto in loco senza lasciare nulla per strada né esportare container di spazzatura, è costruire un inceneritore. Di più: un mega-impianto capace di bruciare 600 mila tonnellate all’anno. Non è solo una questione locale. Per le dimensioni dell’affare, perché riguarda la capitale e perché tocca alcuni nervi scoperti della politica nazionale: i modi e gli strumenti della transizione energetica, il rapporto tra responsabilità individuali e amministrazione pubblica, quello tra bene comune e investitori privati, tra valutazioni tecniche e scelte politiche.

PER CAPIRE COME SIAMO ARRIVATI FINO A QUI, è inevitabile tornare indietro nel tempo, o meglio calarsi nella buca gigantesca di Malagrotta, che dal 1974, e poi a colpi di proroghe e deroghe alla legge, fino al 2013 ingoia la spazzatura di Roma. Il buco nero si trova a ovest del centro storico, in un pezzo di agro romano che divide le aree urbanizzate dal litorale. Là dove la periferia va diradandosi oltre la frontiera del Grande raccordo anulare, il «ras dei rifiuti» Manlio Cerroni costruisce il suo impero. Roma nasconde per anni l’immondizia sotto 240 ettari di tappeto verde a Valle Galeria. Con due problemi colossali. Il primo di natura tecnico-ambientale: le norme europee non consentono più quel modello di gestione. Il secondo è di carattere politico-amministrativo: il monopolista cui viene delegato di risolvere il problema non ha solo il potere di partecipare alla ricca festa delle commesse pubbliche, ma anche quello di farla fallire. In questi anni di crisi ricorrenti ed emergenza permanente Cerroni si è affacciato con regolarità sulla scena pubblica presentandosi come il risolutore dei problemi, rimembrando i bei tempi andati della mega-discarica e mettendo sul piatto i nuovi investimenti in impianti.

DUNQUE, FARE A MENO DI MALAGROTTA significa ricostruire il ciclo di gestione della spazzatura. Quando il Movimento 5 Stelle vince le elezioni, e siamo al 2016, punta tutto sulla riduzione del volume dei rifiuti grazie alla differenziata. Il fallimento dell’amministrazione di Virginia Raggi è riassunto dalla girandola di assessori e dirigenti di Ama, l’azienda municipale a partecipazione pubblica che gestisce la spazzatura: si avvicendano tre assessori e la sindaca per un periodo trattiene a sé le deleghe. Nello stesso periodo, la governance di Ama viene sostituita per sei volte. Alla fine del quinquennio grillino al Campidoglio, il tasso di raccolta differenziata arriva al 46%: soltanto il 3% in più rispetto alle gestioni precedenti. Raggi paga la difficile situazione pregressa e sconta un approccio ideologico alla questione: affronta una condizione strutturale facendo leva sul libero arbitrio dei cittadini romani, sulla condotta individuale. Non mancano i toni giustizialisti: la sindaca spesso divulga sui social le immagini catturate dalle telecamere di sorveglianza che ritraevano «zozzoni» intenti a scaricare rifiuti nei cassonetti sbagliati.

DA QUESTO PUNTO DI VISTA, GUALTIERI assomiglia a Cerroni: offre una ricetta semplice e rassicurante. Questa volta non una discarica ma la gigantesca fornace di un inceneritore, eufemisticamente definito «termovalorizzatore». Ma se i tempi della mega-discarica sono passati, sembrano superati anche quelli dei grandi impianti di incenerimento. Quattro direttive europee sull’economia circolare, adottate nel 2018 e recepite nell’ordinamento italiano nel 2020, hanno definito nuovi criteri in materia di gestione dei rifiuti. Entro il 2035 il tasso di raccolta differenziata dovrà arrivare al 65% e solo il 10% dei rifiuti potrà finire in discarica. Secondo il Rapporto sui rifiuti urbani 2021 di Ispra in Italia esistono 37 impianti di incenerimento, concentrati soprattutto al Nord. Nel Lazio è in funzione solo l’impianto di San Vittore, in provincia di Frosinone che brucia poco meno di 400 mila tonnellate l’anno. Poco più a nord, a Colleferro, erano attive altre due linee di incenerimento con quantitativi autorizzati di circa 220 mila tonnellate l’anno. L’analisi sulla riconversione dell’impianto elaborata dalla direzione ambiente della Regione Lazio nel 2018 prevede uno scenario nel quale la raccolta differenziata raggiunge l’obiettivo del 65%, il conferimento in discarica si ferma al 20% e il potenziale annuale di incenerimento arriva a poco più di 500 mila tonnellate. Oltre a San Vittore, mancherebbero solo 100 mila tonnellate. Molte meno delle 600 mila previste dall’impianto-monstre di Gualtieri. Seguendo la stessa logica il 26 aprile il Tar del Lazio di fatto annulla il decreto attuativo del Decreto «SbloccaItalia» del governo Renzi, intima al governo di completare la procedura di Valutazione ambientale strategica sul fabbisogno di impianti di riciclo, recupero e smaltimento, secondo la gerarchia delle direttive europee sull’economia circolare.

TANTO PIÙ UN INCENERITORE E’ POTENTE, maggiori sono i costi fissi. Tanto più è grande, più inquina al momento dell’accensione. Ciò significa che la logica produttiva dell’incenerimento richiede il ciclo continuo: una volta a regime l’impianto deve restare acceso e ha bisogno di ingoiare il massimo dell’immondizia. Il rischio è che per alimentare l’inceneritore di Roma si scoraggi la differenziata o che sia necessario importare da altre regioni, come già fanno molti degli inceneritori del settentrione e del Nord Europa.

GLI ASPETTI TECNICI SI RIVERBERANO sulla dimensione politica. Lo scorso 2 maggio, con un articolo contenuto nel «decreto aiuti», il governo ha conferito i poteri speciali di commissario per i rifiuti di Roma al sindaco. La scelta ha causato una rottura nel consiglio dei ministri e nella maggioranza in parlamento, visto che il Movimento 5 Stelle si è rifiutato di votare il decreto dopo aver chiesto lo stralcio della norma pro-Gualtieri. «Al fine di assicurare gli interventi funzionali alle celebrazioni del Giubileo» il testo riconosce al sindaco «le competenze assegnate alla Regione». La legge prevede che il Comune gestisca la raccolta e la Regione pianifichi gli impianti. Gualtieri dunque non ha bisogno dell’autorizzazione della Regione. Ciò viene giustificato in nome del Giubileo del 2025. Pur senza considerare le difficoltà della congiuntura economica (la crisi e la guerra rendono molto complicato reperire l’acciaio, solo per dirne una) e gli impedimenti di carattere politico e sociale (sono contrari oltre al M5S anche le forze a sinistra della maggioranza di Gualtieri, insieme a Legambiente e Cgil e agli amministratori della zona di Santa Palomba e Pomezia, dove dovrebbe sorgere), è impossibile che l’inceneritore sia operativo entro tre anni. Gli esperti di cose burocratico-amministrative dicono che di anni ne serviranno almeno sei. Con gli interlocutori più critici Gualtieri assicura che non abuserà dei poteri commissariali: intraprenderà un «percorso di ascolto».

RESTANO INTERROGATIVI ALTRETTANTO DECISIVI: chi ci metterà i soldi e con quale formula? L’inceneritore di Parma è costato più di 200 milioni di euro e ha una potenza inferiore alle 200 mila tonnellate annue, dunque si può prevedere che per l’impianto romano si arrivi a una cifra che va verso il miliardo. Rispondendo a un’interrogazione della parlamentare europea dei Verdi Eleonora Evi, la Commissione Ue ha confermato che il Pnrr non può finanziare progetti contro le direttive. Gualtieri assicura sulla natura «interamente pubblica» del progetto. Siamo nel terreno ibrido delle aziende municipalizzate, società di diritto privato a partecipazione pubblica. In campo c’è Ama, ormai una bad company, e ci sarebbe Acea, vera e propria multinazionale del settore energetico e idrico che già gestisce l’inceneritore di San Vittore. Queste aziende seguono la logica del pubblico che ne è azionista di riferimento o quelle del mercato nel quale operano? Da Palazzo Senatorio, peraltro, trapela che l’inceneritore avrebbe «un partner italiano», una multiutility del settore (si pensi all’emiliana Hera o alla milanese Amsa) che garantisca esperienza e assicuri una soluzione-ponte per lo smaltimento dei rifiuti romani dei prossimi anni. Prima che venga accesa la grande fornace.