Europa

Dietro il successo elettorale, come funziona l’organizzazione degli insoumis

Dietro il successo elettorale, come funziona l’organizzazione degli insoumisMélenchon e i deputati insoumis ad Amfis – Getty Images

Vedo rosso 400mila iscritti sulla piattaforma digitale, 100mila attivisti dei gruppi di azione, un capo, ma soprattutto: il programma. Gli ingranaggi della macchina dall'incontro tra una delegazione italiana e il deputato Gabriel Amard

Pubblicato 2 mesi faEdizione del 25 agosto 2024
Giansandro MerliINVIATO A CHÂTEAUNEUF-SUR-ISÈRE

«Siamo una scintilla, non un’avanguardia», dice categorico Gabriel Amard. Sta rispondendo alle domande sul funzionamento organizzativo della France Insoumise (Lfi) poste da una delegazione italiana che vuole vederci più chiaro. La sera delle elezioni Jean-Luc Mélenchon, che entra nella stanza di questo incontro ristretto bussando forte e stringendo la mano a tutti, l’aveva detto: «Le sinistre verranno a chiederci da tutta Europa come abbiamo fatto a vincere».

È una strana creatura quella degli insoumis, militanti e dirigenti ripetono: «non siamo un partito tradizionale». Potrebbe essere una delle chiavi del minore entusiasmo generato nella sinistra italiana rispetto a esperimenti come Syriza o Podemos. Più probabilmente a sembrare lontana è la strategia del rifiuto di accordi con il centro-sinistra, ovvero tutti gli altri partiti secondo Lfi, a meno di riuscire a vincolarlo al «programma di rottura»: prima con la Nupes, ora con il Nuovo fronte popolare.

Fa eccezione a questo quadro Potere al Popolo, che da subito si è ispirato all’unione popolare francese e ci ha costruito una relazione politica. Tanto che l’unico intervento italiano previsto nel ricco calendario ufficiale è di Salvatore Prinzi, docente universitario e attivista di PaP. «Confrontarsi a livello internazionale è indispensabile per reagire all’ascesa dell’estrema destra», ha scritto sui suoi canali social l’organizzazione.

Il recente exploit elettorale degli insoumis, comunque, attira anche qualcun altro nell’università estiva del partito, che si sta svolgendo in provincia di Valence. C’è Arturo Scotto, deputato Pd, che ascolta con attenzione la candidata del Fronte Lucie Castets. C’è anche una delegazione dell’esperimento municipalista romano Sinistra civica ecologista con, tra gli altri, l’assessora alla Cultura dell’VIII municipio Maya Vetri e il consigliere metropolitano Roberto Eufemia. È a loro che Amard, insieme ad altri Lfi eletti in parlamento o nelle istituzioni locali, mostra gli ingranaggi della macchina che ha portato milioni di voti alla sinistra radicale.

Il partito non ha tessere. La base sono i 400mila iscritti alla piattaforma digitale Action Populaire. Un sito internet e una app per promuovere discussioni, avanzare richieste, condividere materiali ed esprimere preferenze su alcune candidature (ma con un processo più lungo e complesso di quello a 5 Stelle). Il digitale è soprattutto il luogo dove nascono i «Gruppi di azione popolare», le cellule che garantiscono la presenza degli insoumis sui territori e nei conflitti. Ormai riuniscono 100mila persone, con un’età media molto più bassa degli altri partiti. Non pretendono esclusività: aderiscono membri di associazioni, movimenti o perfino altri partiti. Godono di autonomia: agiscono senza chiedere il permesso ai piani alti, a patto che rispettino principi e strategie del partito sottoscrivendo una carta. In caso di contrasti? «Non li risolve nessuno, non esiste una polizia dei gruppi», dice Amard.

Ci sono comunque degli organi che, su vari livelli, lavorano all’armonizzazione organizzativa e del programma. Quest’ultimo è la spina dorsale del progetto: «la struttura che ci diamo non è un fine, ma un mezzo che varia in base agli obiettivi da raggiungere», dice spesso Mélenchon. Risuona una vecchia idea comunista: la tattica al partito, la strategia alla lotta di classe. E infatti il programma nasce nelle assemblee di base, viene sistematizzato tematicamente salendo verso l’alto, ma poi alla fine lo scrivono i conflitti e i movimenti che esplodono nella società. Al primo punto c’è il ritiro della riforma delle pensioni perché è lì che per mesi il paese, con i sindacati in testa, si è scontrato con la macronie. Programma significa quindi terreno comune tra i militanti, anche per limitare le tensioni tra il forte verticismo di Mélenchon e la grande orizzontalità dei gruppi di azione, e patto con gli elettori, da non tradire mai.

«Il Nfp si può spaccare? Certo, ma dipende dai rapporti di forza – ragiona Amard – Se qualcuno vuole governare con i macronisti e abbandonare il programma noi lo salutiamo. Perché nel 2027, o prima, ne dovrà rispondere davanti al popolo». E le cariche, i ruoli di governo? «A noi interessa che lo strumento del partito resti in piedi e abbia la fiducia di giovani e classi popolari. Non ci candidiamo per noi stessi». Un’altra lezione, anche per la sinistra italiana.

ABBONAMENTI

Passa dalla parte del torto.

Sostieni l’informazione libera e senza padroni.
Leggi senza limiti il manifesto su sito e app in anteprima dalla mezzanotte. E tutti i servizi della membership sono inclusi.

I consigli di mema

Gli articoli dall'Archivio per approfondire questo argomento