Cultura

Dieric Bouts, dentro l’illusione

Veduta di sala della mostra «Dieric Bouts, Creatore di immagini» foto di Ralph VankrinkelveldtDalla mostra «Dieric Bouts. Creatore di immagini», Museo M di Lovanio

Intervista La grande retrospettiva dedicata al maestro fiammingo a Lovanio, sua città d'elezione, è costruita attraverso un confronto con l'immaginario contemporaneo. Raccontano il pittore il curatore della mostra Peter Carpreau e Marjan Debaene, studiosa a capo delle collezione del museo M. «Preferisce usare il paesaggio come parte vitale del dipinto e crea landscapes spesso 'fantastici', mondi celesti ignoti agli esseri umani, restituendoli in modo realistico. Si affida alla cosiddetta 'sospensione volontaria dell’incredulità'»

Pubblicato 11 mesi faEdizione del 4 novembre 2023
Dalla mostra Dieri Bouts, Creatore di immagini, Museo M di Lovanio. Foto di Ralph Vankrinkelveldt

Un «creatore di immagini e immaginari»: è questo che fu soprattutto, il pittore fiammingo Dieric Bouts (nato a Haarlem nel 1415 circa e morto nel 1475 a Lovanio), pur nei suoi inabissamenti e ritorni di fiamma. È così che la mostra appena inauguratasi nella sua città d’elezione, sceglie di recuperare questo artista come un protagonista assoluto (era rimasto forse un po’ in ombra, stretto fra van Eyck e Rogier van der Weyden), spingendolo in un confronto serrato con la cultura visiva contemporanea. L’esposizione presso il museo M di Lovanio, a cura di Peter Carpreau (visitabile fino al 14 gennaio 2024) ha il sapore di una riabilitazione di questo «primitivo fiammingo di seconda generazione», contando su un corpus di opere eccezionale – una trentina – e per la prima volta riunite nel luogo dove visse e lavorò.
Bouts, nato in Olanda, si spostò nella regione del Brabante trovando un’atmosfera frizzante e un mondo in fermento, che si era lasciato alle spalle un’epoca buia. Sposò la ricca Katharina van der Brugghen e partecipò al Rinascimento della città. Nel XV secolo, infatti, Lovanio viveva il suo boom urbanistico, economico e culturale. Bouts cavalcò l’onda e fu in prima fila: la sua fortuna fu dovuta senz’altro alla spregiudicatezza di linguaggio. «La sua prima preoccupazione era l’ottimizzazione dell’effetto – spiega Peter Carpreau, curatore della mostra Dieric Bouts. Creatore di immagini –. A prima vista, può essere considerato come qualcuno che utilizzava tecniche e stili diversi in modo disordinato. Nel Martirio di Sant’Erasmo raffigura il santo senza emozioni, sebbene sia torturato, mentre nel suo celebre inferno, i volti sono molto espressivi, attraversati da terrore e dolore. Lo stesso vale per la prospettiva: la conosce bene, ma non la applica sempre. Questo mi fa ritenere che fosse soprattutto un ’pensatore visivo’, al servizio della funzione dell’immagine. Fra le sue particolarità, c’è la rappresentazione della terza dimensione. Fu un maestro nell’illusione della profondità, che inseguì in diversi modi, con la prospettiva o il repoussoir (elementi in primo piano che dirigono lo sguardo, ndr)».
È per questo motivo che al centro del festival sugli orizzonti futuri di Lovanio – luogo dove le tracce del pittore sono evidenti ovunque, dalla chiesa di san Pietro fino alla casa in Minderbroedersstraat – c’è Dieric Bouts. Come racconta Marjan Debaene, studiosa a capo delle collezione del museo M, seminò un immaginario potente in cui gli umori dell’epoca sarebbero trasmigrati di generazione in generazione. «I vari festival di Lovanio si svolgono sempre intorno a una mostra ’storica’ – afferma Debaene – un artista, un evento, una pubblicazione importante, una scoperta o personaggio, il medico Vesalio, il Big Bang… Con questa rassegna si vuole ricordare che Bouts era un artigiano, un image maker. Non certo per denigrarlo, ma per comprendere meglio il suo universo visivo, che potrebbe non sempre risultare comprensibile a un occhio del 21° secolo.

L’Ultima Cena (foto di Ralph Vankrinkelveldt)

Dieric Bouts è uno dei pochi maestri fiamminghi le cui opere sono rimaste nel luogo per cui sono state create, dopo 500 anni. È una cosa rara…
Avere ancora dipinti in situ dopo 500 anni è qualcosa di speciale, ne abbiamo due esempi a Lovanio. Hanno contribuito una grande dose di fortuna e una serie di coincidenze favorevoli, man mano che cambiavano i gusti, si succedevano periodi di iconoclastia, c’erano guerre o incendi che distruggevano le opere d’arte nelle chiese. Oppure capitava che i dipinti venissero venduti (soprattutto nel XVIII e XIX secolo). Il caso dell’Ultima Cena è straordinario. Nel 1698 fu sostituita da una nuova pala d’altare, sempre un’Ultima Cena, dipinta su tela da Victor Honoré Janssens. Il trittico di Bouts fu smontato: il pannello centrale rimase nella chiesa mentre quelli laterali furono venduti. Nel 1814, si trovavano nella collezione Von Bettendorf a Bruxelles, poi finirono ad Aquisgrana. I due pannelli laterali superiori, L’incontro di Abramo e Melchisedec e La raccolta della Manna, erroneamente attribuiti a Hans Memling, furono invece acquistati nel 1815 dai fratelli Melchior e Sulpiz Boisserée, scrittori e studiosi d’arte. Divennero poi proprietà di Luigi I di Baviera, fino a giungere alla Alte Pinakothek di Monaco. Quelli inferiori, a loro volta, furono acquisiti nel 1834 dal Bode Museum di Berlino (come si chiama oggi). Nel 1898, lo storico Edward Van Even scoprì e pubblicò il contratto originale tra Dieric Bouts e la Confraternita del Santissimo Sacramento, custodito negli allora archivi della chiesa di san Pietro. Dopo la prima guerra mondiale, tutti i pannelli furono restituiti al Belgio nell’ambito del Trattato di Versailles, firmato nel 1919, ma nel 1942 il centrale e i laterali furono nuovamente separati. L’esercito tedesco prese i laterali e li nascose nelle miniere di sale di Altaussee in Austria. Furono recuperati dagli americani nel 1945 e riportati a Lovanio, per essere riuniti finalmente al pannello centrale della chiesa di san Pietro e da allora sono rimasti lì.

Le caratteristiche stilistiche del pittore sono molto diverse da quello che è considerato il suo maestro, Roger van der Weyden. Può riassumere gli elementi salienti e l’eredità artistica che ha lasciato ai posteri?
Non è sicuro che Rogier van der Weyden fosse il maestro di Bouts, ma quest’ultimo deve averlo osservato molto da vicino: era ancora influente intorno al 1450, non solo nella pittura ma pure nella scultura. Bouts, tuttavia, si lascia alle spalle il pathos estremo e il dramma. Preferisce usare il paesaggio come parte vitale del dipinto e crea landscapes spesso «fantastici», mondi celesti ignoti agli esseri umani, dipingendoli in modo realistico. Si affida alla cosiddetta «sospensione volontaria dell’incredulità». Utilizza poi la prospettiva lineare solo se necessaria alla composizione, dipinge con colori vibranti, effetti di luci e ombre ed è un maestro nel rappresentare trame e materiali, soprattutto quelli lucidi e riflettenti. Nelle sue opere, introduce anche elementi della vita quotidiana, oggetti banali, dettagli, che non contribuiscono alla narrazione ma rendono la scena più riconoscibile per lo spettatore del XV secolo. Bouts, inoltre, lavorava negli anni in cui si andava affermando la «Devotio moderna» (corrente spirituale che richiamava a una religiosità più intima, ndr): fu uno dei primi pittori a produrre in serie con la sua bottega piccoli dipinti come i ritratti di Cristo e della Vergine per un uso devozionale privato. A metà del XIV secolo, l’Europa fu devastata dalla pandemia più fatale mai conosciuta dall’umanità: nel giro di pochi anni morì tra il 30% e il 60% della popolazione europea. Anche le Fiandre furono gravemente colpite. L’incapacità della Chiesa cattolica di fornire una risposta a questa improvvisa mortalità di massa ebbe come risvolto il malcontento della popolazione. Sorsero contro movimenti spirituali che ne sfidarono l’autorità. Uno di questi fu la «Devotio moderna»: ogni individuo era personalmente responsabile della salvezza della propria anima attraverso la preghiera e la meditazione, senza dipendere dal clero o da una autorità spirituale esterna. Lovanio, ai tempi di Dieric Bouts, era attraversata dal quel movimento. Di conseguenza, i dipinti religiosi per il culto privato erano molto richiesti tra gli abitanti.

Ritratto di Dieric Bouts

L’artista rimase quasi sempre nella città in cui si trasferì, Lovanio. Come mai?
Non abbiamo molte informazioni sulle sue abitudini di viaggio, non possiamo sapere se fosse sedentario o meno. Tuttavia, quando si stabilì a Lovanio intorno all’anno 1448, la città stava subendo una trasformazione significativa. Il secolo precedente era stato disastroso: l’epidemia di peste, i conflitti incessanti, il declino del commercio dei tessuti… Il XV secolo fu un periodo di ricostruzione, durante il quale Lovanio riuscì a risollevarsi. Nel 1425, la fondazione dell’università elevò la città a centro intellettuale dei Paesi Bassi, trasformandola in luogo di innovazione e scambio. Le numerose biblioteche ospitavano manoscritti e trattati umanistici che giocarono un ruolo significativo nell’innescare il Rinascimento di Lovanio. Park Abbey, che esiste ancora, era una delle istituzioni religiose più importanti dei Paesi Bassi ed esercitò una notevole influenza. Durante il periodo di Bouts, aveva a capo un abate progressista: Diederik van Thulden. Conosceva personalmente il papa e si recava regolarmente a Roma per tenersi al passo con gli ultimi sviluppi in campo teologico, culturale e artistico. L’abbazia possedeva testi di autori antichi e trattati umanistici contemporanei. È così che Van Thulden introdusse il Rinascimento a Lovanio e Dieric Bouts non rimase indietro.

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