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Diecimila ebrei, due anni

Diecimila ebrei, due anniIrmgard Furchner, segretaria nel campo di concentramento nazista di Stutthof, nell’aula del tribunale di Itzehoe dove è stata condannata – foto Christian Charisius/Pool Photo

Storie Potrebbe essere l’ultimo processo per i crimini nazisti in Germania: condannata la segretaria del konzentrationslager di Stutthof, burocrate della morte di 10.500 persone. Ha 99 anni

Pubblicato 3 mesi faEdizione del 22 agosto 2024

Il primo della lunga serie dei processi di Stutthof contro i complici dello sterminio nell’omonimo lager si aprì nel 1946 e terminò con la condanna a morte di undici tra kapò e aufseherin (guardie) al servizio delle Ss. Quasi ottant’anni dopo, nella piccola aula del tribunale regionale di Itzehoe nello Schleswig-Holstein, si conclude l’ultimo procedimento giudiziario iniziato nel 2022, con la sentenza definitiva contro Irmgard Furchner, 99 anni, ex stenografa di quel campo di concentramento a 34 chilometri da Danzica, colpevole dello spaventoso crimine di «complicità nell’omicidio di 10.500 persone».

Per i giudici due anni di arresti domiciliari, come stabilito nel primo grado di giudizio, sono più che sufficienti a estinguere la pena. Considerata l’età della condannata, con buona probabilità corrisponderà all’ergastolo in casa di riposo. Naturalmente – proprio come per tutti gli altri attivi collaboratori delle Ss complici dello stermino nel lager di Stutthof (ora Sztutowo in Polonia) chiamati nei decenni successivi a pagare il conto dei propri crimini – l’ex segretaria si è sempre dichiarata innocente.

«Si pente di ciò che ha fatto?» chiede il pm. «Mi dispiace molto per quello che accaduto a Stutthof» risponde Irmgard Furchner, nata nel 1925 a Marienburg, pochi chilometri da Stutthof, ex dattilografa della Dresdner Bank prima di diventare la donna sulla cui scrivania passava tutta la corrispondenza interna dell’amministrazione economica delle Ss.

ORDINARIE LETTERE in burocratese piene di numeri in gran parte indecifrabili, secondo lei. Ebrei, zingari, omosessuali e dissidenti politici passati per il camino con la complicità degli impiegati civili come Irmgard, dice la Storia prima ancora delle aule di giustizia. Da cui Irmgard fugge fin dal termine della guerra: prima del 2014, data del suo pensionamento, Frau Furchner si era riciclata come segretaria di una struttura per anziani. Meticolosa, precisa, puntuale, mai una domanda fuori posto: ha continuato a macinare numeri per il resto della sua vita, come se nulla fosse. È la cifra della banalità del male che nel 2024 appare come un’anziana in sedia a rotelle con il volto semi-celato dalla mascherina anti-covid.

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Anche se l’ex collaboratrice delle Ss fino a poco tempo fa era tutt’altro che una donna immobile. Nel settembre 2021 era scappata alla velocità della luce dalla stanza della casa di riposo di Quickborn-Heide dove era stata domiciliata in vista della prima udienza del processo. Ha preso un taxi fino alla stazione della metro di Norderstedt-Mitte provando poi goffamente a far perdere le proprie tracce. La fuga è durata soltanto poche ore. Cinque giorni dopo è stata rilasciata ma con il braccialetto elettronico ben stretto alla caviglia.

È STATO IL SUO ultimo tentativo di sottrarsi alla responsabilità penale. Il processo è iniziato con tre settimane di ritardo ma il pm Maxi Wantzen le ha squadernato tutte le accuse per i crimini commessi otto decenni fa. Non solo Irmgard Furchner era «informata fin nei minimi dettagli sui metodi di sterminio scientificamente applicati dalle Ss nel lager di Stutthof» e con il suo lavoro «garantiva il buon funzionamento del campo» ma era anche la compagna di un sergente-maggiore delle Ss: l’Oberscharführer Heinz-Gerhard Furchner, poi sposato nel 1954. Impossibile che la segretaria fosse all’oscuro di tutto

Con il sottufficiale (ci cui Irmgard porta il cognome, in realtà lei si chiama Dirksen) si erano conosciuti a Stutthof durante la guerra; entrambi alle dirette dipendenze del comandante del lager, Paul Werner Hoppe, il numero uno al comando dell’intera macchina di sterminio del lager. Proprio il capo dei boia di Stutthof nel dopoguerra pagherà un conto incredibilmente irrisorio per le decine di migliaia di omicidi da lui ordinati personalmente. Fuggito nel maggio del 1945 attraverso la famigerata “rat-line” fino a Flensburg, Hoppe venne inizialmente catturato e subito spedito in un campo di internamento in Svizzera. Tornò nella neonata Bundesrepublik nel 1952 e venne arrestato due anni dopo. Condannato nel 1957 a nove anni di galera, nella realtà scontò appena 48 mesi. Davvero poco per l’uomo che mandò alle camere a gas oltre 47.000 deportati arrivando a trasformare un intero vagone ferroviario in crematorio mobile per fare più in fretta.

MA LA STORIA dei processi di Stutthof è infarcita di imputati che se la sono cavata con pene vergognose. Il predecessore di Hoppe al comando del lager, Karl Otto Knott, supervisionò la gasazione degli ebrei e implementò il sistema delle iniezioni di benzina al collo, però venne condannato a soli tre anni e tre mesi di reclusione. Negli anni Cinquanta il tribunale di Amburgo assolse una ex Ss accusata delle esecuzioni sommarie sui prigionieri e condannò a due anni il suo coimputato, mentre nel 1964 i tre ex Ss Otto Haupt, Karl-Otto Knott e Bernhard Luedtke vennero processati a Tubinga per avere ucciso migliaia di persone a bastonate e arso vivo un commissario sovietico. Risultato: dodici e sei anni di galera per i primi due, assoluzione per il terzo.

PIÙ O MENO lo stesso trend nei decenni successivi, salvo poche eccezioni. Nel 2018 il tribunale di Münster comunica che il procedimento contro l’ex guardia di Stutthof, Johann Rehbogen, 94 anni, va annullato per via dell’incapacità a sostenere il processo dell’imputato. «L’odore sgradevole nell’aria e le terribili condizioni dei prigionieri non mi passarono inosservate, ma non opposi resistenza perché avevo paura dei nazisti» è stata la sua giustificazione comunque non credibile, al di là della semi-infermità: Rehbogen si era offerto volontario per arruolarsi nelle Waffen-Ss.
Infine, Bruno Dey, 92 anni, complice di ben 5.230 omicidi: nel luglio 2020 finisce alla sbarra del tribunale minorile perché all’epoca dello sterminio aveva 17 anni. Il suo processo rappresentava «una battaglia per l’anima della Germania» secondo il direttore del centro Simon Wiesenthal di Gerusalemme. La sentenza: due anni di libertà vigilata, come l’ex dattilografa.

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