«Ne arrivano più di mille al giorno, stipati nei treni oppure a bordo dei bus. Sembra di essere tornati al 2015». Ronja Lange, responsabile di “Moabit Hilft”, Ong berlinese da sempre in prima linea sul fronte dell’accoglienza, riassume così l’emergenza-profughi riscoppiata con la guerra in Ucraina. Tra l’immediata e spontanea solidarietà dal basso dei volontari auto-organizzati e l’ingiustificabile ritardo delle istituzioni ancora una volta impreparate a gestire l’esodo di massa.

Partendo dalla scuola, che per i bambini non c’è perché, banalmente, «la burocrazia prevede sempre 19 giorni per l’iscrizione» o dai finanziamenti statali ancora appesi all’apposita seduta del Senato del Land prevista (si spera) per oggi. Senza contare l’imminente esaurimento dei posti-letto che sta obbligando il Municipio Rosso a dirottare buona parte dei profughi nel confinante Brandeburgo, e la disponibilità di alloggi che sulla carta non mancherebbero, se il governo non avesse chiuso i Containerdorf (centri-profughi provvisori) o non ci fosse la vergogna delle offerte private riservate «solo agli ucraini».

Tredici giorni dopo, quattordici con oggi, l’invasione dell’Ucraina da parte dell’esercito russo l’effetto collaterale della guerra investe in pieno la capitale della Germania, ormai diventata il primo porto di approdo occidentale per chi fugge dalle bombe. «Arrivano gli ucraini ma anche molti russi, nelle stesse identiche condizioni. Naturalmente non facciamo alcuna differenza tra nazionalità, etnie o religioni, però si vede chiaramente che i russi sono intimoriti per via dello stigma generalizzato contro di loro» sottolinea Lange. Prima di specificare che qualunque offerta di aiuto «condizionata» viene subito respinta al mittente: «Alcuni avvisi sembrano ricalcare le inserzioni di chi cerca un animale da compagnia, con le caratteristiche ideali. Noi invece cerchiamo di spiegare che sono persone e tutte vittime della medesima violenza» è il compito extra degli attivisti di “Moabit Hilft”.

Insieme alla raccolta fondi indispensabile per gli oltre 10.000 profughi attualmente registrati a Berlino, un sesto del totale di rifugiati ucraini in Germania. Denaro imprescindibile per dotare i profughi di strumenti come la “Bonus-Card” precaricata che permette di acquistare i beni di consumo più elementari. «Abbiamo scelto questa modalità per preservare la dignità delle persone. Anche se scappi dalla guerra hai il diritto di scegliere, per esempio, di comprare lo shampoo adatto ai tuoi capelli. Sembra un dettaglio, ma è un elemento-chiave dell’accoglienza» precisa Lange.

Insieme a lei, dall’inizio del mese, decine di berlinesi fanno la spola fra la sede della Ong nel rione Moabit e le due stazioni ferroviarie della capitale, vestiti con la pettorina che identifica i volontari pronti a fornire le informazioni di base come i consigli su come proseguire il viaggio verso altre mete.

Della Salute, invece, per ora se ne occupano oltre 500 ambulatori di Berlino che offrono prestazioni mediche gratuite. Ginecologi, pediatri, dentisti e psicologi disposti a bypassare la legge sull’assicurazione sanitaria obbligatoria in nome dell’emergenza e del diritto universale alla cura.

Rimane il problema di dove (e come) registrare i profughi: «Sotto questo aspetto la gestione è tutt’altro che organizzata. Non sappiamo ancora esattamente a quali uffici dobbiamo rivolgerci» sottolinea la responsabile di “Moabit Hilft”. Senza nascondere la brutta sorpresa: «Sono passati ben otto anni dall’emergenza-migranti della Siria. Ma sembra che a Berlino siamo tornati al punto di partenza».