Dieci anni dopo, la Tunisia non sta a guardare
2010-2020 Ritorno nei luoghi simbolo della Rivoluzione dei Gelsomini, con il Paese di nuovo sull’orlo del baratro. L'Ugtt lancia l’idea di un dialogo nazionale come quello che evitò il peggio nel 2013, dopo l’omicidio (rimasto impunito) di Belaid e Brahmi da parte degli islamisti
2010-2020 Ritorno nei luoghi simbolo della Rivoluzione dei Gelsomini, con il Paese di nuovo sull’orlo del baratro. L'Ugtt lancia l’idea di un dialogo nazionale come quello che evitò il peggio nel 2013, dopo l’omicidio (rimasto impunito) di Belaid e Brahmi da parte degli islamisti
C’è un filo rosso che collega la Tunisia di oggi ai venti rivoluzionari del dicembre 2010. Un filo che da place de la Kasbah – là dove la Rivoluzione dei gelsomini ha trovato il suo apice constringendo alla fuga l’ex presidente Zine El-Abidine Ben Ali – attraversa le vie strette della Medina, scivola lungo l’ancora affollata avenue Bourghiba fino ad avvolgere in un nodo stretto la sede del ministero dell’Interno, ricordo grigio della Tunisi autoritaria.
QUI OGNI MERCOLEDÌ da sette anni a questa parte i compagni di partito di Chokri Belaid e Mohamed Brahmi, uccisi nel febbraio e nel luglio 2013 davanti alle loro abitazioni da militanti islamici fondamentalisti, si ritrovano per chiedere verità e giustizia.
«Abbiamo deciso di farlo ogni mercoledì, giorno della morte del nostro compagno Belaid, per ricordare ai tunisini che ci sono stati due omicidi politici e che bisogna lottare per stabilire la verità sui mandanti, gli esecutori e su coloro che li hanno protetti», spiega Mohamed Jmour, avvocato e vice segretario del Parti unifié des patriotes démocrates di cui Belaid era segretario generale.
La fermezza dell’esposizione di Jmour si traduce anche nelle parole con cui identifica i responsabili dei due omicidi, il cerchio ristretto dei fratelli musulmani tunisini, il partito Ennahda: «Quelli che la polizia ha arrestato finora sono l’ultima ruota del carro, i mandanti restano coperti. Per noi i responsabili fanno parte dell’apparato securitario di Ennahda». Il partito di ispirazione islamista ha subito una forte repressione negli anni di Ben Ali ma, dopo la sua legalizzazione a inizio 2011, ha da subito dominato la scena politica tunisina rivelando un consenso fino a quel momento nascosto e portando lo scontro tra laici e islamisti a un livello senza precedenti.
UNA TENSIONE che si è palesata con gli omicidi di Brahmi e Belaid, come spiega Hamma Hammami, segretario generale del Parti des travailleurs e all’epoca dei fatti leader della grande coalizione di sinistra del Front Populaire: «In quel periodo eravamo sotto osservazione da parte dell’estremismo islamico. Belaid era un avvocato molto conosciuto e rispettato per avere difeso i poveri e gli oppressi. Brahmi ha fatto uno sciopero della fame durante il suo mandato all’Assemblea nazionale costituente. La loro perdita non solo ha indebolito il Front Populaire ma tutto il popolo tunisino. Resteranno un simbolo della Rivoluzione».
Davanti a quasi cinquanta persone assiepate lungo avenue Bourghiba Touraya Krichen, membro del Parti unifié des patriotes démocrates, elenca in modo appassionato ma puntuale le debolezze della Tunisia. Disoccupazione, corruzione e assenza di giustizia non sono le uniche criticità che sta vivendo il paese in questa delicata fase storica: «Quello che ci spaventa di più è che vediamo gli stessi eventi che hanno preceduto l’assassinio dei nostri compagni – racconta Krichen al manifesto -. Ad esempio il ritorno del discorso religioso e della violenza in nome di Dio. Un discorso che si basa su un aspetto culturale, mentre la Rivoluzione è dovuta a una situazione sociale ed economica ben precisa».
OGGI, PER AFFRONTARE i problemi strutturali del paese, lo storico e più importante sindacato, l’Ugtt, ha rilanciato l’idea di un dialogo nazionale per coinvolgere organizzazioni ed esponenti della società civile, sul modello di quello formatosi nel 2013 dopo gli assassinii dei due militanti della sinistra tunisina. All’epoca quel dialogo portò in dote una nuova Costituzione nel 2014 e il premio Nobel per la pace 2015 al Quartetto per il dialogo nazionale composto da Ugtt, Ordine nazionale degli avvocati tunisini (Onat), Unione tunisina degli industriali (Utica) e Lega tunisina per i diritti dell’Uomo (Ltdh).
I protagonisti di allora sono gli stessi di oggi. «La costituzione del Quartetto è stata fatta per evitare un confronto frontale. La situazione politica era talmente fragile che ci trovavamo sull’orlo di una guerra civile – spiega al manifesto Jamel Msellem, presidente della Ltdh -, nel 2013 godevamo della fiducia dei partiti e della società civile. La Lega ha lottato 33 anni contro la dittatura; c’era l’Ugtt, che anch’essa ha resistito e ha ramificazioni dappertutto; l’organizzazione degli industriali era molto influente e l’Ordine degli avvocati godeva di forte rispetto».
DI FIANCO A LA KASBAH, il luogo simbolo della Rivoluzione dei gelsomini, sorge l’imponente Palazzo di giustizia dove si trova la sede dell’Ordine degli avvocati. Hatem Matouk, membro del Consiglio dell’Onat, ci tiene a ricordare l’importanza dell’Ordine nella società tunisina: «L’avvocato non difende solo le persone nei tribunali. Difende i principi generali dei diritti dell’uomo tra cui la libertà e il diritto alla democrazia. Da poco ci siamo riuniti in Consiglio sul nuovo dialogo nazionale. Parteciperemo a questa iniziativa e abbiamo ricevuto la proposta dell’Ugtt».
Rivoluzione del 2010, la profonda crisi del 2013 e le difficoltà odierne a cui si somma anche la pandemia da Covid-19. In dieci anni la Tunisia ha avanzato su temi importanti come la costruzione di istituzioni democratiche solide e le libertà individuali. Tuttavia molte istanze che hanno portato le regioni dell’entroterra a rivendicare maggiori diritti economici e sociali non sono ancora state realizzate: «Abbiamo una crisi economica, sociale e politica – è il commento di Naima Hammami, segretaria generale aggiunta incaricata delle relazioni arabe internazionali e delle migrazioni dell’Ugtt – e la pandemia da Covid-19 ha accentuato. È per questo che il nostro sindacato non può restare a guardare perché se non avanziamo la Tunisia cadrà in un baratro senza fine».
Un baratro che oggi sembra ancora più profondo. Tanto che nel 2020 il buon esito del dialogo nazionale auspicato dall’Ugtt è tutt’altro che scontato: «Le condizioni del 2013 non sono più le stesse di quelle del 2020 – aggiunge il presidente della Lega tunisina dei diritti dell’uomo Msellem – anche la cartografia politica e associativa non è più la stessa. Nel 2013 vivevamo in questo fondo di crisi sociale ed economica molto importante, adesso viviamo gli stessi elementi di una crisi con forti disparità regionali e un tasso di disoccupazione estremamente alto».
COSA RIMANE QUINDI alla Tunisia, che si prepara a vivere il decimo anniversario di una rivoluzione che ha portato la cosiddetta primavera araba in molte parti del Medio Oriente? La speranza. Evocata da più attori politici e sociali, la speranza è anche il sentimento a cui si appoggia l’avvocato Jmour per arrivare a una verità sui dossier di Brahmi e Belaid: «La nostra battaglia giudiziaria continua, abbiamo una buona squadra di avvocati che sta facendo un lavoro enorme. Siamo nel pieno di una lotta politica per ricordare che ci sono stati due assassinii in questo paese e che i responsabili restano ancora impuniti».
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