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Diciannove giorni di scontri senza zone franche, il Libano trema

Diciannove giorni di scontri senza zone franche, il Libano tremaTank israeliani al confine con il Libano – Ap

Confine caldo 20mila gli sfollati, vittime e timori di un blocco navale nel Paese già in ginocchio per la peggiore crisi economica della sua storia. Cristiani divisi

Pubblicato circa un anno faEdizione del 25 ottobre 2023

Risale la tensione al confine tra Libano e Israele. Dopo un inizio di giornata relativamente tranquillo, ieri pomeriggio sono ripresi gli scontri: a Rmeich, Bani Hayyan, Tallusseh, gli attacci israeliani; Ibad, Kiryat Shmona quelli di Hezbollah. Al momento la maggior parte degli scontri è concentrata a ridosso del confine occidentale da entrambi i lati e nelle Fattorie Sheba’a contese tra Libano, Siria e Israele dopo l’occupazione da parte di quest’ultimo nel 1967.

DICIANNOVE GIORNI DI SCONTRI e molte sono le aree sulla restante parte del confine scenario di scambi d’artiglieria: non ci sono zone franche. Una scuola pubblica nel villaggio di Aita Sheab è stata colpita da un raid israeliano che non ha però causato vittime. In serata è stato colpito il paesino di Naqura sul Mediterraneo, che ospita il quartier generale della missione Unifil, nata oltre quarant’anni fa per contenere le dispute lungo la Linea Blu tra i due stati. Il portavoce Tenenti ha assicurato che «la base non è stata colpita e che la situazione è al momento stabile».

L’organizzazione internazionale per la migrazione (Oim), agenzia Onu, ha contato circa 20mila sfollati dal 7 ottobre a oggi nelle aree del sud del Libano interessate.

IL NUMERO DELLE VITTIME è di almeno quattro (tre soldati e una civile) dalla parte israeliana, e da quella libanese di 36 miliziani di Hezbollah, una decina di combattenti del Jihad islamico e di gruppi armati palestinesi, tre vittime civili, incluso il video-reporter Issam Abdallah colpito dall’artiglieria israeliana mentre assieme a sei colleghi di Reuters, Al-Jazeera e Afp si trovava a Alma al-Shaab.

I giornalisti erano tutti visibili, con giubbetto, elmetto e auto con la scritta press. Israele non ha ancora fornito chiarimenti sull’accaduto.

Il fronte politico interno è spaccato, soprattutto tra i cristiani. Il Libano è una repubblica parlamentare basata sulla confessionalità (18 confessioni religiose) dove i partiti sono in larga parte rappresentanza delle comunità – concentrate geograficamente in aree del paese o quartieri della capitale – attraverso un criterio formale e legislativo di appartenenza religiosa.

SE DA UN LATO IL PREMIER sunnita Mikati ricorda ogni giorno che il governo sta facendo di tutto per evitare la guerra – e in effetti è un continuo di incontri con i vertici dei paesi occidentali e dell’area -, il principale esponente dell’opposizione Geagea (cristiano), capo delle Forze libanesi, parla dei limiti nel contrastare la guerra e Hezbollah. Un messaggio al capo del Movimento patriottico libero Bassil (cristiano), alleato di Hezbollah, che aveva invitato tutti a «voltare pagina sulle divergenze e unirsi per il bene del paese».

Geagea è però rappresentante di quella forza che ha a viso aperto sfidato il 15 ottobre 2022 gli sciiti di Amal e Hezbollah negli scontri a fuoco a Tayyouneh, sulla linea verde che divideva la città durante la guerra civile (1975/90), infliggendo loro una sconfitta morale pesantissima.

IL «DOTTORE», come viene chiamato, non ha alcun interesse a far fronte comune con Hezbollah o con i suoi alleati.
Comincia a circolare un’aria di sfiducia, rassegnazione e paura per i rifornimenti. Il ministro dell’economia Salam ha sottolineato che le informazioni riguardanti un aumento dei prezzi causa guerra non sono veritiere e che il Libano ha scorte in abbondanza. Il rifornimento di carburante continua, ma a passo più lento, ha fatto sapere il portavoce delle Associazioni delle società importatrici di idrocarburi e che due navi cisterne sono attese nel fine settimana. Si spera non si creino le condizioni per un blocco navale.

IL LIBANO IMPORTA OLTRE L’80% dei beni primari e secondari. Il paese, che dopo la guerra civile aveva basato – e basa tutt’ora – la sua economia di stampo fortemente neoliberista sul terziario, è da quattro anni nella più grave crisi economico-finanziaria della sua storia. Bloccare, ritardare le importazioni creerebbe un’ulteriore crisi nella crisi.
Ciò che maggiormente fa paura è l’isolamento nel quale ci si troverebbe una volta chiuse le rotte marittime e d’aria – esiste un unico aeroporto civile – visto che oltre al mare il Libano confina con Siria e Israele. Nella guerra con Israele del 2006 la Siria era ancora una via di fuga.

Se la guerra al confine dovesse espandersi, sarebbe una catastrofe annuciata.

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