Coraggio, un’incoronazione non è mai una nazione in coro. Ma su questo tra poco. E di certo, il coro di Westminster Abbey – di voci bianche e nere – durante la cerimonia era celestiale a dir poco: un sollievo dopo un’indigestione di avori ed ermellini tanto ingialliti da far sembrare il tutto avvolto in una patina di nicotina nostalgica: il fu(m)mo uccide.

Ci sarà stato anche un forte odore di naftalina ad aleggiare dallo sfoderamento di tutto quel Prêt-à-Porter – anche se ormai le tarme non le ferma nemmeno il lanciafiamme – tanto per aumentare il coefficiente ucronico dell’esperienza. Fortuna che l’arcivescovo di Canterbury aveva silenziato lo smartphone. Pensa se avesse squillato mentre apponeva quei cinque chili scarsi di metalli e pietre preziose, costati innominabili dolori e sofferenze, sul capo non più fiero dell’ultra-settuagenario monarca.

SOTTO LE AGUZZE NAVATE aleggiava un senso di soffocamento, intravisibile perfino nei tratti segnati dell’unto, per quanto mitigato dal sollievo per il climax raggiunto: nessuno più di lui è consapevole della pazienza che c’è voluta per pigliarsi finalmente ciò che è sempre stato suo in questo sfibrante Game Of Throne. Ma lui, come ha ripetuto, «è qui per servire, non per essere servito», secondo l’insolente rovesciamento di piani operato con diabolico successo dalla propaganda monarchica-istituzionale del paese.

Dell’interminabile occasione andranno ricordate le musiche dei Byrds, dei Purcell, di (quel tedesco di) Hændel; passino le overdosi dei soliti Elgar e Walton e Vaughan Williams – specializzati in musica imperial-curtense un tanto al chilo. Bravi i Bryn Terfel e gli Antonio Pappano, blanda la musica commissionata per l’occasione a compositori tornati retoricamente a testa bassa nella tonalità. Pesavano le assenze di Tolkien, Lancillotto e Gandalf.

E IL RESTO? Il resto è stato una salubre rinfrescata sull’importanza imprescindibile delle rivoluzioni borghese e proletaria. Il vero privilegio nel non poter non assistere a questa bizzarra sciarada medievale è stato il ritrovarsi davanti al fatberg militar-clericale su cui si basa l’istituto monarchico nel XXI secolo – per di più addobbato a festa. La cerimonia, con corteo di andata e ritorno dal palazzo, si è protratta come un magnifico stillicidio sincronizzato, un estenuante rituale in cui il re è stato insignito di tutto l’insignibile: bibbie, scettri, anelli, globi, guanti, spade nelle rocce, balestre, alabarde e catapulte. Anche la regina consorte è stata debitamente coronata, anche se in confronto quasi di fretta. Tutti hanno fatto la propria parte, anche i famigliari caduti in disgrazia e spediti nelle retrovie come dei commoner qualsiasi. Tutto cronometrato, conteggiato, pesato, misurato, come nelle coreografie di Esther Williams: basta che ognuno faccia la sua parte e tutto filerà liscio, lo sanno bene i veri stati-nazione, gli ex padroni del mondo.

MA SI PARLAVA DI NAZIONI in coro. Di certo non tutti hanno cantato all’unisono, né hanno offerto la propria devozione al re (nel bizzarro voto introdotto per la prima volta in questa cerimonia). Tanto che in ossequio alla stretta autoritaria del paese della Magna carta, la polizia – investita da questo governo poliziesco di un assegno in bianco quando si tratta di fermare dissidenti e protestatari senza motivo apparente – ha arrestato svariati dimostranti pro-repubblica (vestiti di giallo come dei canarini in miniera, i dimostranti pro-repubblica rendono tutto ancora più ucronico) che a centinaia a Trafalgar Square recavano cartelli con scritto «Not my King» e cantavano slogan come «abbasso la Corona», «non parlare con la polizia» e «trovati un vero lavoro». Tra loro, anche il leader del movimento Republic Graham Smith, il quale, peraltro, con la polizia era rimasto in contatto fino a un attimo prima e aveva garantito che non ci sarebbero stati atti concreti di ostruzionismo.

È L’ODIOSISSIMO Public Order Bill, passato di furia alla camera appena in tempo la settimana scorsa per evitare scivolate sull’unanimismo della nazione tutta in festa. Altre proteste erano state organizzate a Cardiff, Glasgow ed Edimburgo.
Un doveroso atto di giustizia poetica ha altresì voluto che piovesse tutto il giorno.