A meno di una settimana dal 12 aprile, data in cui la Gran Bretagna schizzerebbe fuori dall’Ue senza accordo con paventate, telluriche conseguenze sull’economia, Theresa May cerca per la seconda volta una Brexit-proroga al 30 giugno, dopo che il suo accordo sul ritiro dall’Ue è stato sconfitto alla camera per la terza volta la settimana scorsa.
Ecco dunque una nuova missiva arricchire il nutrito epistolario May-Tusk. In essa, May richiede un’estensione al prossimo 30 giugno, ma anche di poter lasciare l’Ue prima delle prossime elezioni europee il 23 maggio qualora il suo accordo superi finalmente l’assicella dei Comuni. La prima proroga a giugno l’aveva chiesta solo giorni fa, ma si era vista concedere solo fino al 12 aprile. Nel frattempo, continua la lettera, il Paese accetta di partecipare alle stesse elezioni europee, per le quali le preparazioni sono già iniziate, proprio mentre le rispettive delegazioni di May e Corbyn continuano nel dialogo «costruttivo ma finora inconcludente» – nella definizione di quest’ultimo – sperando frutti una proposta comune da ri-sottoporre alla Camera. Che però finora non si vede.
ANCHE IERI LA TERZA giornata di colloqui si risolveva in un nulla di fatto, con il ministro-ombra per Brexit Keir Starmer che lamentava l’indisponibilità del governo ad accettare cambiamenti al tormentato accordo. Il contenzioso è evidentemente sull’inclusione della possibilità di un secondo referendum, su cui insistono Starmer e altri moderati del partito. I colloqui continuavano nella giornata di oggi.
DEAR DONALD – ha scritto tra le righe in buona sostanza Theresa al suo amico di penna polacco – credo ancora nell’utopistica ipotesi che il mio accordo possa essere finalmente approvato dalla camera grazie ai voti dei laburisti. È impossibile che ci si possa trovare d’accordo con loro su una parte del deal giuridicamente vincolante e non rinegoziabile con voi europei, ma l’importante è fingere di provarci. Ho fatto tutto il possibile: dividere in due l’accordo, promesso le mie dimissioni e perfino dialogare con il leader dell’opposizione, pur di tenerlo a galla e di ottenere finalmente una maggioranza. Converrai che mi sono bruciata i ponti alle spalle con questo maledetto deal. Ma non ne ho altri e mi tocca tenermelo. Naturalmente quella delle trattative di unità nazionale con l’opposizione è una sciarada, tanto per guadagnare il tempo di una proroga e poi riprovare quella che non mi è riuscito finora: proporre una quarta volta il nostro deal ai Comuni continuando a minacciare la hard Brexit come alternativa. E allora forse la Camerà voterà l’accordo. Lo so: ci ho già provato e non ha funzionato.
L’idea di partecipare e non partecipare alle prossime elezioni europee a tre anni dalla decisione di lasciare ordinatamente l’Unione europea sta meritatamente rendendo il nostro Paese lo zimbello d’Europa. In ogni caso il mio partito è largamente contrario al mio deal e non lo voterà nemmeno se la proroga medio-lunga fosse concessa. Ma forse la minaccia di elezioni anticipate, che vedrebbero i Tories finalmente spazzati via dopo tanta incompetenza in mondovisione, saprà convincerli. È la mia ultima scommessa. Del resto, perché la speranza sia davvero l’ultima a morire, ha bisogno di due fondamentali alleati: la disperazione e la mancanza di alternative. E io ho entrambe.
INTANTO LO SPETTRO del no deal il 12 non svanisce ancora del tutto nemmeno da parte britannica: la legge che dovrebbe evitarlo, proposta dall’asse bipartisan Cooper (Labour) Letwin (Tories) è passata per un voto ai Comuni e attende ancora la ratifica dei Lords lunedì. E non è detto la otterrà.