Di Maio: «Sulle fregate trattativa in corso». Ma così vince al-Sisi
Giulio Regeni Interrogazione di LeU al ministro: normalizzazione irragionevole. La legge 185/90 vieta la vendita. Il titolare degli Esteri: «Valutiamo caso per caso». Palazzotto al manifesto: «Conte spieghi cosa ha detto ad al-Sisi»
Giulio Regeni Interrogazione di LeU al ministro: normalizzazione irragionevole. La legge 185/90 vieta la vendita. Il titolare degli Esteri: «Valutiamo caso per caso». Palazzotto al manifesto: «Conte spieghi cosa ha detto ad al-Sisi»
Rivedere la vendita delle due fregate Fremm Fincantieri all’Egitto. È la richiesta mossa ieri alla Camera dal deputato di LeU Nicola Fratoianni, firmatario con il collega Federico Fornaro dell’interrogazione parlamentare al ministro degli Esteri Luigi Di Maio.
«Una scelta di dignità e buon senso», dice Fratoianni dal suo scranno, che ponga fine a «una normalizzazione irragionevole». Cita la legge 185 del 1990, violata da ogni governo: il divieto di vendere armi ed equipaggiamento militare a paesi in guerra o violatori dei diritti umani.
Che l’Egitto sia uno di questi non c’è dubbio alcuno, dalla repressione interna che ha imprigionato 60mila persone per motivi politici alla chiusura di ong, media, siti di informazione. Passando per l’incarcerazione dello studente Patrick Zaki, lo scorso 7 febbraio, e l’uccisione – per mano dei servizi segreti interni – del ricercatore italiano Giulio Regeni.
Di Maio risponde e cita entrambi. Ma non mette in dubbio la vendita. Dopotutto martedì sera il suo successore a capo politico del M5S, Vito Crimi, aveva dato prova di scarsa consapevolezza politica: «Non vendere le fregate all’Egitto non avrebbe portato nessun valore aggiunto nel percorso per raggiungere la verità sulla morte di Giulio Regeni», la dichiarazione a Canale Nove di Crimi, secondo cui si tratta solo di «una manovra economica».
Strano modo di intendere il concetto di pressioni politiche su un soggetto da cui si vuole ottenere qualcosa: business as usual, magari il dittatore si mostrerà magnanimo.
Nell’interrogazione LeU riprende i dati delle autorizzazioni all’export militare all’Egitto, con il boom del 2019 (871,7 milioni di euro) e che oggi con le due fregate e il resto del pacchetto di navi, pattugliatori d’altura, caccia e un satellite di osservazione potrebbe toccare quota 11 miliardi.
La trattativa «è tuttora in corso», dice il ministro degli Esteri. Colui che a fine agosto 2018 da ministro dello sviluppo economico volò dal presidente egiziano al-Sisi, prodigandosi in promesse sulla verità per Regeni ma senza congelare i rapporti economici con il Cairo.
«Il rilascio delle autorizzazioni è subordinato all’applicazione rigorosa» della legge, ha detto ieri, il governo esamina le richieste «caso per caso». Smentito il via libera che il premier Conte avrebbe dato ad al-Sisi appena due giorni fa? Non proprio: è possibile che quel via libera sia stato anticipato in via amichevole e che si sia prossimi alla luce verde ufficiale.
In ogni caso, aggiunge Di Maio citando Libia e terrorismo, «l’Egitto resta uno degli interlocutori fondamentali nel quadrante Mediterraneo», affermazione che fa da stampella al lungo lavoro politico imbastito da al-Sisi fin dal 2013, quando con un golpe si fece presidente: Il Cairo è fondamentale, tanto da permettere di ignorare la palese natura autoritaria e repressiva del regime instaurato in questi anni.
Suona dunque vuoto l’ennesimo impegno a parole «sull’incessante richiesta di progressi significativi nelle indagini sul caso del barbaro omicidio di Giulio Regeni», dopo che l’infaticabile Procura di Roma ne ha individuato – nonostante i continui boicottaggi egiziani – alcuni dei responsabili, tutti membri di quel servizio di sicurezza che ha trasformato l’Egitto in un’enorme prigione.
Sulla questione delle fregate è intervenuta martedì la Commissione parlamentare d’inchiesta sulla morte di Giulio Regeni che ha annunciato l’audizione del premier Conte. Che ieri ha fatto sapere di avere «urgenza di riferire, anche se mi dicono che non è usuale che un presidente del Consiglio riferisca in una commissione d’inchiesta»: «Appena possibile andrò».
«Ritengo profondamente sbagliato dal punto di vista politico ed etico autorizzare una vendita di armamenti così imponente verso l’Egitto – spiega al manifesto il presidente della Commissione, Erasmo Palazzotto – Una scelta di questo tipo è molto più di una normalizzazione dei rapporti bilaterali: 9 miliardi di armi significa fare dell’Egitto un nostro partner strategico nel Mediterraneo, quando negli ultimi quattro anni ha negato ogni forma di collaborazione per individuare i responsabili della morte di Regeni. Come Commissione, l’unica questione che ci interessa con l’audizione del presidente del consiglio è conoscere il contenuto della conversazione avuta con il presidente Al-Sisi, se ci sono novità che hanno portato il governo a cambiare linea e a normalizzare i rapporti con l’Egitto».
«Il compito della commissione non è esercitare pressioni sul governo e incidere sulle scelte di politica estera, questo attiene al parlamento e alle forze politiche – continua Palazzotto – La nostra convocazione è legata alla necessità di acquisire tutte le informazioni necessarie a comprendere e valutare l’azione del governo».
Ed è partita ormai da giorni la campagna social #StopArmiEgitto di Rete Disarmo, Rete della pace e Amnesty. La richiesta è «bloccare qualsiasi ipotesi di nuove forniture militari all’Egitto». Tantissime le adesioni.
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