Italia

Destinazioni incerte per i 39 della Diciotti rimasti a Messina

Episodi di intolleranza nella città siciliana Vernice rossa e minacce agli ingressi dell'hotspot e del Cas

Pubblicato circa 6 anni faEdizione del 30 agosto 2018

Partiti i cento per Rocca di Papa, a Messina restano gli ultimi 39 reduci dalla sbarco della nave Diciotti a Catania, sabato scorso. Si tratta del gruppo la cui soluzione è stata trovata dal ministro dell’Interno Matteo Salvini. Una soluzione che rischia di essere impraticabile. Venti, infatti, dovrebbero andare in Albania in virtù di un accordo siglato tra il paese delle Aquile e il governo italiano. Ma ieri la portavoce della Commissione Europea, Natasha Bertaud, ha sottolineato: «La legislazione Ue si applica, com’è evidente, anche in questo caso. C’è la questione del consenso delle persone, se sono o meno richiedenti asilo. In questo contesto ci sono due leggi europee che rilevano, in particolare la direttiva sulle procedure d’asilo, la quale dice che se una persona fa domanda in uno stato Ue bisogna dargli accesso alle procedure nello stato in questione».

C’è poi la direttiva sui rimpatri, che stabilisce «in quale caso è possibile rinviare o meno qualcuno che non ha chiesto asilo, o che ha ripetuto la sua richiesta, o che ha seguito una procedura di asilo e si è stabilito che non ne ha diritto, in quali circostanze può essere inviato in un paese terzo». Con le attuali normative, i migranti non possono essere mandati in Albania «senza il loro consenso», nel caso tocherebbe alla magistratura intervenire per far rispettare le leggi. Non è semplice neppure il percorso dei restanti 19 poiché, in base al regolamento di Dublino, ci vuole comunque la volontà espressa del richiedente asilo per mandarlo in Irlanda.

Intanto però monta un clima intollerante e, contemporaneamente alle manifestazioni della destra a Rocca di Papa, martedì notte a Messina è stata gettata vernice rossa davanti all’ingresso dell’hotel Liberty, che ospita migranti, e all’hotspot cittadino, nell’ex caserma Gasparro, dove ci sono appunto i 39 della Diciotti. Perché il messaggio fosse chiaro, sono stati lasciati anche dei fogli con con messaggi razzisti e minacciosi. Tre giorni fa il sindaco, Cateno De Luca (eletto lo scorso marzo), aveva attaccato la politica dell’accoglienza aizzando gli animi. «I migranti? Metto a disposizione le baracche, quelle dove attualmente vivono 10mila messinesi tra amianto, fogne a cielo aperto e sporcizia. Qualcuno mi accuserà di razzismo? Prima, però, dovrà spiegarmi perché in quelle strutture fatiscenti può viverci un italiano, mentre un migrante deve stare in albergo. Ho chiesto la dichiarazione dello stato di emergenza al governo, per me questa gente ha la priorità rispetto ai migranti».

L’ex sindaco, Renato Accorinti, ribatte: «Quelle barache vengono vendute dagli occupanti abusivi o cedute a familiari. La soluzione l’avevamo trovata, acquistare gli appartamenti sfitti senza consumare altro suolo ma è arrivato il nuovo sindaco. A Messina non c’è un clima intollerante e i migranti in città sono pochi ma se si soffia sul fuoco delle paure e si ingignantiscono i fenomeni per un ritorno politico poi possono succedere anche episodi simili». In quanto al tema alberghi, l’unico hotel a Messina che ospita migranti, il Liberty, ha un centro per minori non accompagnati (Casa Amal) per 120 posti, realizzato in accordo con il comune nel 2016 e, grazie a una convenzione con la prefettura, dal 2017 si sono aggiunti 64 posti per adulti stranieri. Accorinti si è opposto all’hotspot realizzato nella tendopoli, poi smantellato, e anche a quello tutora in uso nell’ex caserma Gasparro, aperto nel 2014 e ampliato l’anno scorso, gestito dal ministero dell’Inerno: una baraccopoli con decine di container di lamiere di zinco, tende, recinzioni e cancellate divisorie.

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