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Desaparecidos in «un posto tranquillo»

Desaparecidos in «un posto tranquillo» – Ap

Messico La vicenda dei tre italiani scomparsi nello stato di Jalisco. Fermati tre poliziotti: li avrebbero consegnati alla criminalità organizzata

Pubblicato più di 6 anni faEdizione del 24 febbraio 2018
Fabrizio LorussoLÉON (MESSICO)

Nei pressi di Tecalitlán, città messicana del Jalisco dove il 31 gennaio sono scomparsi tre italiani, le sparizioni forzate non sono una novità. Nel Jalisco sono 3000 le persone ufficialmente desaparecidas e nel Michoacán, molto vicino a Tecalitlán, sono oltre 1100. In gran parte si tratta di vittime di rapimento e occultamento da parte del crimine organizzato o delle autorità, spesso conniventi con questo.

Raffaele Russo, sessantenne, si trovava in Messico da alcuni mesi e faceva il venditore ambulante, mentre suo figlio Antonio e suo nipote, Vincenzo Cimmino, erano lì da pochi giorni. Il primo a sparire è stato Raffaele. Vincenzo e Antonio sono accorsi a cercarlo perché non rispondeva più al cellulare e, secondo un whatsapp che hanno potuto inviare prima che si perdessero le loro tracce, sono stati intercettati in una pompa di benzina da una pattuglia e una moto della polizia di Tecalitlán che li ha invitati a seguirli.

GLI UNICI INDIZI su cosa possa essergli successo sono una chiamata agli uffici della polizia, nella quale un’impiegata dice ai familiari dei tre di aver sentito per radio che i poliziotti avevano preso in custodia degli italiani, e l’informazione dei gps delle due auto prese a noleggio dai tre napoletani.

 

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La foto di Raffaele Russo sul cellulare del figlio

Secondo Francesco e Daniele Russo, figli di Raffaele, che il 31 si trovavano in un’altra zona del Messico, venti minuti dopo la prima chiamata l’impiegata ha ritrattato, negando tutto, e dai gps risultava che le auto noleggiate, mai ritrovate, erano state abbandonate fuori città, nello stesso punto. Secondo le dichiarazioni di un’impiegata della pompa di benzina le telecamere di servizio erano rotte da due giorni e alla stazione si riforniscono spesso le pattuglie della polizia.

Dopo la denuncia pubblica dei familiari ai media e alle autorità in Italia, si sono mosse la Farnesina e l’Ambasciata Italiana e le autorità del Jalisco hanno reagito. Nei giorni scorsi 33 poliziotti di Tecalitlán, che non sono formalmente sotto accusa, sono stati inviati a fare un corso di formazione e delle verifiche a Guadalajara, mentre la sicurezza è passata nella mani della polizia statale e le ricerche sul campo sono cominciate nel Jalisco e nei vicini Colima e Michoacán.

Tre agenti di Tecalitlán sono stati messi a disposizione degli inquirenti perché sospettati di aver consegnato gli italiani a un gruppo della criminalità organizzata, ma un quarto agente, il comandante Hugo Martínez, è irreperibile da martedì.

IL 22 GENNAIO SCORSO lo studente diciassettenne Ulises Cardona è sparito proprio a Tecalitlán, che secondo il sindaco Victor Díaz sarebbe «un posto tranquillo». Alla stampa Díaz ha detto anche che la scomparsa degli italiani sarebbe «un fatto isolato», anche se nel suo comune, di soli 16mila abitanti, sono dieci le persone desaparecidas negli ultimi dieci anni. Ulises e un suo amico, Moisés Cárdenas, che era con lui quel giorno, sono stati sequestrati da uomini della marina messicana, ma solo Moisés, con segni di tortura e maltrattamento, è stato liberato poco dopo.

I familiari di Ulises sono disperati e, malgrado ricerche e denunce, non sanno ancora nulla. Una settimana prima il governatore Aristoteles Sandoval aveva celebrato l’apertura della nuova caserma del LXXIX Battaglione dell’esercito a Tecalitlán: «Si costruiscono qui e in altre zone del Jalisco tante storie di successo, il mio riconoscimento va alle Forze armate perché abbiamo chiesto aiuto in altre zone e in questa, una regione complicata».

La militarizzazione della sicurezza, legittimata da una legge che amplia molto le facoltà dei militari, è iniziata undici anni fa e da allora il Messico vive un’inedita spirale di violenza, desapariciones e omicidi (29mila morti nel 2017).

FRANCESCO E DANIELE RUSSO hanno sporto denuncia l’1 febbraio. Secondo la nuova legge sulle sparizioni le autorità competenti dovevano «implementare subito le azioni di ricerca corrispondenti, secondo i protocolli» e «applicare tutte le misure necessarie a evitare una nuova vittimizzazione», ma hanno fatto il contrario.

«Quando hanno sporto denuncia ci hannno detto che erano turisti e questo ha rallentato le indagini, perché non avevamo piste su cosa facevano, cioè non erano turisti ma vendevano apparecchi», ha detto il procuratore del Jalisco, Raúl Sánchez, il 20 gennaio, riferendosi alla possibilità che i tre italiani stessero vendendo generatori contraffatti.

IL PROCURATORE non ha approfondito sulle relazioni tra polizia e criminali e s’è concentrato sui precedenti di Raffaele Russo, arrestato tre anni fa in Messico ma mai condannato, attribuendo il ritardo nelle indagini agli stessi familiari. Ora anche la procura federale sta indagando sul caso ma potrebbe essere tardi. «Le prime 72 ore sono fondamentali per il ritrovamento degli scomparsi», segnala l’organizzazione Sos Desaparecidos sul suo sito.

La linea della procura tende a stigmatizzare gli scomparsi e a scaricare responsabilità. I familiari da Napoli ripetono che i tre non hanno «nessuna relazione col traffico di droga o con mafie», ma buona parte della stampa messicana persevera nella loro criminalizzazione tralasciando l’inerzia degli inquirenti, che spesso chiudono questi casi «isolati» cercando qualche mela marcia, anche se tutto l’albero è malato.

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