Delusi dalla loro leadership e dal mondo, iraniani alle urne
Iran Oggi presidenziali decisive per le relazioni con l’Occidente. Raisi o vince subito o rischia. Voto condizionato da crisi, sanzioni e repressione. Le responsabilità di Usa e Europa
Iran Oggi presidenziali decisive per le relazioni con l’Occidente. Raisi o vince subito o rischia. Voto condizionato da crisi, sanzioni e repressione. Le responsabilità di Usa e Europa
Oggi oltre 59 milioni di iraniani (su 83 milioni) sono chiamati alle urne per eleggere l’ottavo presidente della Repubblica islamica. A votare per la prima volta è quasi un milione e mezzo di giovani.
In Iran il voto è a suffragio universale dal 1963, quando la cosiddetta Rivoluzione Bianca voluta da Muhammad Reza Shah su pressione statunitense permise alle donne di votare ed essere elette in parlamento. Con la Rivoluzione del 1979 l’Ayatollah Khomeini tolse molti diritti alle donne, ma non il voto.
NELLA REPUBBLICA ISLAMICA le donne possono tuttora diventare deputate, ma non possono aspirare alle massime cariche dello Stato e quindi al ruolo di presidente, di Guida suprema (posizione non elettiva) e di capo della magistratura.
Nella giornata di oggi i seggi aperti saranno 72mila tra scuole, moschee ed edifici statali. Possono votare anche i residenti all’estero in 133 Paesi. Si rischia però un boicottaggio di massa, perché gli iraniani sono delusi dalla propria leadership per molteplici motivi: la corruzione, l’incapacità di gestire la cosa pubblica, la crisi economica e l’inflazione al 50% a causa delle sanzioni internazionali, la repressione.
Secondo i sondaggi, potrebbe essere battuto il record negativo di partecipazione delle legislative dello scorso anno, a inizio pandemia, quando si presentò alle urne solo il 42% degli aventi diritto.
TRA I 600 ASPIRANTI PRESIDENTI, il Consiglio dei Guardiani ne ha selezionati sette. Alla vigilia del voto, quattro si sono ritirati. In lizza ne restano tre. Il favorito è l’ultraconservatore Ebrahim Raisi, capo della magistratura nonché candidato di riferimento dell’ayatollah Khamenei.
Già direttore della ricchissima fondazione religiosa di Mashhad, ha un passato sanguinario: fu lui a firmare la condanna a morte di migliaia di oppositori politici nel 1988, alla fine della guerra contro l’Iraq, e tante impiccagioni negli anni Novanta.
I suoi comizi hanno radunato migliaia di persone, ammassate senza mascherina nel paese più colpito dal Covid della regione. Del suo stesso schieramento è l’ex generale dei pasdaran Mohsen Rezai, colpevole di una serie di errori durante la guerra contro Saddam, errori costati la vita a tanti soldati. È invece considerato un moderato il governatore della Banca centrale Abdolnaser Hemmati.
GLI IRANIANI POTRANNO VOTARE dalle 7 del mattino (le 4.30 in Italia) alle 2 della notte di sabato, con una durata di apertura dei seggi prolungata per ridurre i rischi di assembramenti. risultati sono attesi nella giornata di sabato e dovranno essere convalidati dal Consiglio dei Guardiani.
Viene eletto al primo turno il candidato che ottiene la maggioranza assoluta delle preferenze, altrimenti si terrà un ballottaggio tra i due più votati venerdì 25 giugno.
Se Raisi non vince al primo turno, rischia di perdere: dopo aver invitato all’astensione, i riformatori potrebbero chiamare alle urne il proprio elettorato per scegliere Hemmati. Oltre al presidente, saranno scelti anche i consigli comunali, alcuni deputati per seggi rimasti vacanti e sei membri all’Assemblea degli Esperti che nomina la Guida suprema.
Le presidenziali di oggi sono determinanti per le relazioni di Teheran con l’Occidente: «Se un presidente estremista salirà al potere dopo le elezioni presidenziali di giugno, l’accordo nucleare sarà ancora più a rischio», dichiarava lo scorso 6 febbraio il ministro degli Esteri Zarif al quotidiano Hamshari.
Riportata nel valido saggio di Luciana Borsatti L’Iran al tempo di Biden (Castelvecchi), questa frase del capo della diplomazia della Repubblica islamica è la chiave per decifrare le conseguenze delle elezioni di oggi sulle relazioni diplomatiche con l’Occidente: «Comunque vada – commenta Borsatti, già corrispondente dell’Ansa da Teheran – il voto di oggi non è una pura questione di politica interna»,
GLI IRANIANI SONO DELUSI, e non solo dalla propria leadership: «Fin dall’inizio l’amministrazione Trump aveva interrotto un percorso di riavvicinamento che avrebbe potuto rispondere ai timori di una proliferazione nucleare. Da parte sua, Biden non ha agito con la velocità necessaria ad evitare la sconfitta definitiva dei moderati. Anche l’Europa ha le sue responsabilità: suddita dell’alleanza atlantica, è venuta meno alle promesse a Teheran sul rispetto del JCPOA. A farne le spese – conclude Borsatti – è il popolo iraniano, impoverito e deprivato di diritti elementari come il lavoro, il benessere, ma anche la possibilità di viaggiare negata dal potere d’acquisto ridotto vertiginosamente dal crollo del rial ancor prima della pandemia. A finire in ginocchio sono quella classe media e quella gioventù istruita e cosmopolita che avrebbero potuto favorire il cambiamento in un contesto di migliorate relazioni economiche, politiche e culturali».
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