L’industria alimentare, quella legata all’allevamento di quadrupedi ma anche in parte la avicola, ha sottoprodotti ricercati e redditizi. Ci sono da un lato le pelli di vacche, vitelli, caprini e ovini, alla base dell’industria conciaria e della calzatura e pelletteria, dall’altra ossa, legamenti, tendini, cornea, reticolari di polmoni, fegato e milza, cartilagini, corpo vitreo e nucleo polposo. Tutto ciò, scarto della macellazione di suini, bovini e polli, serve all’industria farmaceutica e cosmetica per produrre integratori e creme a base di collagene.

«LA COLLA CHE TIENE SU TUTTO», parola di Jennifer Aniston, testimonial e Chief Creative Officer di Vital Proteins marchio della multinazionale svizzera Nestlè, colosso alimentare dal nome altamente e spesso sinistramente evocativo, che i boomer associano al logo col nido e mamma uccellina intenta nelle cure parentali. Dalla culla alla tomba, l’industria alimentare e del wellness (parola che i boomer hanno imparato da vecchi) ci accompagna nella crescita che degenera nell’inevitabile imputridimento, e cerca di porvi rimedio.

Ecco che entra in gioco il collagene (da iniettare, spalmarsi in faccia, bere nella versione idrolizzato), la proteina più diffusa nel corpo umano ma presente anche nei pesci (carpe e pangasio, per dire), nelle spugne e nei molluschi; ricco di ben diciannove amminoacidi, è la sola proteina che possa vantare la idrossiprolina, preziosa per la cementificazione perfetta della molecola del collagene stesso.

SE LA EX RACHEL GREENE DI «FRIENDS», dal bel viso reso strano da qualcosa di più potente di una crema, la promuove a soluzione definitiva per la bellezza della pelle e la salute delle articolazioni, la grande Meryl Streep diretta da Zemeckis in La morte ti fa bella (dove per la cronaca aveva solo 42 miseri anni) poteva spingersi a dichiarare «un’iniezione di collagene? Tanto vale che mi lavi la faccia con acqua e sapone» e ricorrere alla magia e al patto col Diavolo, che peraltro – si sa – nasconde una fregatura.

NELLA REALTÀ I MIRACOLI COMPIUTI dalle creme sono soprattutto di tipo economico a vantaggio delle tasche di chi riesce a riempirsele facendo leva sulla diffusa paura del consumo, non del consumismo, promettendo di rallentare l’invecchiamento. Una stima del Global Market Inisights valuta di 4 miliardi di dollari il volume d’affari mondiale dell’industria del collagene del 2022, con una previsione di crescita al 2032 dell’8,4%. Anche se il collagene è utilizzato anche per la cura di patologie serie che richiedono di reintegrare amminoacidi, è stato soprattutto il mondo dell’estetica, e quello dello sport, specie statunitensi, a decretarne la fortuna.

UN’INDAGINE DEL «GUARDIAN», USCITA carinamente attorno alla data della Giornata Internazionale della Donna, evidenzia come la catena di approvvigionamento di questa industria arrivi dritta a fattorie brasiliane imputate di contribuire alla deforestazione amazzonica. L’inchiesta è stata condotta con l’Ufficio di Giornalismo investigativo, il Centro di analisi dei crimini ambientali con sede all’Aja, la rete televisiva indipendente britannica ITV e la rivista brasiliana di giornalismo investigativo nel settore alimentare O JoJo e O Trigo.

LA NESTLÈ RIMANDA le accuse al mittente, si riserva di indagare presso i propri fornitori, si impegna a certificare i propri prodotti come deforestation-free entro il 2025. Al momento i prodotti a base di collagene non sono contemplati dall’accordo provvisorio (tale perché in attesa della sua adozione formale da parte delle istituzioni coinvolte) raggiunto lo scorso dicembre da Consiglio e Parlamento Europeo per ridurre al minimo il rischio di deforestazione e degrado forestale connesso all’interscambio commerciale dell’Unione Europea, secondo mercato al mondo per consumo di prodotti ottenuti in zone deforestate all’uopo; l’accordo prevede un regime di diligenza obbligatoria per chi immette prodotti nel mercato Ue ed è così tenuto a vigilare sulla loro conformità alla normativa europea: una volta raggiunta la formalizzazione, il provvedimento consentirà l’import/export col mercato della Ue solo a produzioni provenienti da terreni che non sono stati oggetto di deforestazione o degrado forestale dopo il 31 dicembre 2020.

IL DIVIETO VARRÀ PER MATERIE PRIME (olio di palma, carne bovina, legno, caffè, cacao, gomma e soia) e derivati (cioccolato, oggetti di arredamento, carta stampata e prodotti selezionati a base di olio di palma, ad esempio per l’igiene personale). Chissà se nel riesame, entro due anni, previsto per ampliare la gamma di prodotti contemplati saranno considerati anche quelli a base del collagene ricavato da bovini allevati in terreni deforestati per farne pascoli.

Vero è anche che in Brasile la deforestazione procede da anni e ha avuto un’accelerazione col governo Bolsonaro; abbondano da tempo praterie create, spesso con incendi deliberati, per sbarazzarsi della foresta pluviale e dare spazio ad allevamento e agricoltura. Sempre secondo l’indagine del quotidiano londinese, supportata dal network del Pulitzer Center Rainforest Investigations, l’allevamento intensivo del bestiame in Brasile (responsabile dell’80% della deforestazione amazzonica) avviene in larga parte a beneficio delle industrie collegate a quella alimentare come a quella la cosmetica.

Il valore commerciale dei sottoprodotti, proprio per la richiesta legata alla produzione di ritrovati ferma-tempo, aumenta e questo spinge all’incremento dell’allevamento intensivo per approvvigionare comparti produttivi disposti a pagare bene per quello che una volta era cibo: tagli di carne di seconda scelta, ad esempio quelli provenienti dalla regione costale, come la spalla del bovino, ricchi di grassi e cartilagini, oggi poco appetibili per cambi di abitudini e mode alimentari.

Il Guardian sottolinea anche come sia diffusa la pratica di spostare bovini nati in terreni disboscati (e spesso sequestrati illegalmente) in aziende agricole o fattorie «pulite» per la fase di ingrasso pre-macellazione. Secondo il procuratore federale dello stato brasiliano del Parà Ricardo Negrini, la filiera è tracciabile e chi lavora la carne può conoscere perfettamente i pascoli di provenienza degli animali. Rimane il problema dei controlli delle diverse fasi produttive (anche rispetto alla qualità di quel che ci finisce in pancia o in faccia) e di chi controlla i controllori, in un circolo vizioso da cui è difficile uscire.

NEL DUBBIO PUNTARE SU COLLAGENI vegetali non è possibile perché tecnicamente non esistono: la proteina è di origine animale, ma ci sono facenti funzioni, stimolatori di collagene, prodotti a base di estratti vegetali ad azione idratante, rassodante eccetera. I vegani possono confidare nello sviluppo di collagene ottenibile da sistemi di produzione di proteine ricombinanti che utilizzano batteri e lieviti, ma si tratta di una soluzione in via di sperimentazione, ancora costosa e scarsamente disponibile in commercio.