David Greenham scopre un «nuovo» metodo di lettura: datato, all’incirca, novant’anni
Nonostante le aspettative indotte dal titolo, quel che David Greenham propone nel suo Close Reading Il piacere della lettura (Einaudi PBE, pp. XIV-226, € 22,00) non è l’augusta prassi con cui ci ha deliziato tanta critica del Novecento (dai New Critics americani in avanti): è piuttosto una banalissima e disperata analisi testuale, in veste manualistica, che tenta di coinvolgere studenti privi della benché minima idea procedurale, per far loro capire quanto possa arricchire e dar piacere la lettura. Ma come si arriverebbe al piacere del testo secondo Greenham?
Si parte dal significato di alcune parole che deviano dal senso comune (il cosiddetto «contesto semantico»), poi si confronta quel significato con altre parole circostanti («contesto sintattico»), poi ci si spinge a ricercare se quel significato si ripeta nell’opera («contesto tematico»), infine si completa l’analisi confrontando i risultati con il genere a cui appartiene il testo («contesto generico»). E per arricchire ancora di più il tutto, si procede a una seconda lettura.
Peccato poi che a rompere le uova nel paniere intervengano metodi di diverso tipo (che Greenham chiama «contesto avversativo»), come per esempio la critica di genere (femminista e queer), oppure la teoria critica della razza, l’eco-critica e la critica materiale del testo (la storia del libro).
Due gli elementi di sconcerto: anzitutto, il fatto che Greenham ritenga che il suo sia un metodo «nuovo» (c’è scritto proprio così). Poi le sue ripetute indicazioni, quando trionfalmente annuncia: «così aumenterà il piacere della nostra lettura», contestualmente alla sua scoperta del fatto che Amleto e Cime tempestose sono opere che parlano della vendetta, mentre Romeo e Giulietta si basa sul contrasto fra giorno e notte. Nel caso sfuggisse a qualche lettore come Amleto e Heathcliff siano due vendicatori, anche senza applicare la lettura dei contesti. E qualche spettatore, di fronte alla famosa scena del balcone, non si sia fatto venire in mente che «Giulietta è il sole» in contrasto con la «splendida luna».
Tutto il libro procede con esasperante lentezza, riassumendo ogni due pagine il succo del discorso, nel timore di non riuscire, nemmeno al prezzo di tanta gratuita banalizzazione, a farsi capire dal lettore. E senza mai lasciarsi sfuggire l’occasione di fargli notare l’immenso, segreto piacere che si raggiunge applicando il «nuovo», sbalorditivo «metodo». Se questo è il close reading, e non lo è, ci sarebbe da riconsiderare il distant reading di Moretti. Il che è tutto dire.
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