Damiano Michieletto in un viaggio misterico di Mozart, buio e luce
In mostra «Archeus - Labirinto Mozart», installazione artistica al Forte Marghera - fino al 5 giugno - per la Biennale di Venezia
In mostra «Archeus - Labirinto Mozart», installazione artistica al Forte Marghera - fino al 5 giugno - per la Biennale di Venezia
È carnevale, e Venezia torna ad animarsi di maschere e altri reperti carnascialeschi. Ma l’esperienza più sorprendente, e anche folgorante, la si può fare nella sua «periferia», fuori Mestre, nel sito che era Forte Marghera, che ha dismesso la sua antica funzione militare per trasformarsi ora in uno spazio espositivo appena inaugurato da una mostra che è una vera invenzione «fantascientifica» (fino al prossimo 5 giugno, prenotazione obbligatoria). È l’attraversamento di un mondo iperuranio ad avanzatissima tecnologia, per quanto terragne e concrete siano le sue fonti, e addirittura mozartiani il suo suono come il suo spirito. Archeus, Labirinto Mozart non è infatti una semplice installazione artistica, ma un percorso che offre a ogni visitatore la possibilità di un’esperienza tanto coinvolgente quanto «fantasiosa», guidata dai motivi mozartiani del Flauto magico, nell’attraversamento di una serie di ambienti che può rivelarsi, più che un itinerario contemplativo, una vera esperienza coscienziale.
NON SEMBRI eccessivo questo quadro, che nasce in quello spazio fascinoso e acquatico dell’antica struttura militare «per i 1600 anni dalla fondazione della città e del Carnevale», su iniziativa della Biennale di Venezia e del suo sempre più prezioso Archivio storico, con la partnership della Direzione ministeriale per la creatività contemporanea che fa capo a Ninni Cutaia. Mente spettacolare che ha elaborato e firma il progetto è Damiano Michieletto (con il suo gruppo Ophicina), noto e affermato soprattutto come regista lirico, che non a caso parte per la sonorità di questo percorso (ma soprattutto del suo senso) dalla rappresentazione che qualche anno fa curò alla Fenice. Proprio la musica di quel Flauto magico, «ritagliata», ripetuta e lanciata (o resa pulsazione quasi organica dal glockenspiel di Papageno) è il tessuto connettivo e anche significante dell’intera visione.
IL VISITATORE percorre un itinerario di 160 metri, per lo più in un cunicolo buio (si cammina aggrappati a un solido corrimano che garantisce assoluta sicurezza) intervallato da cinque sale, mentre continua è la colonna sonora mozartiana seppure trasformata e rielaborata nel suo ordine di successione. Le cinque illuminazioni sono tutte inquietanti, quando turbano come quando (parzialmente) rasserenano.
SI COMINCIA scoprendosi a fianco di un’auto sportiva fracassata e rovesciata dal suo crash, o scoprendo una sorta di cadavere mummificato dalla testa di volatile; poi ci si sente bersaglio indifeso di nugoli di frecce, prima che un gigantesco corvaccio nero mostri fiero il frutto d’oro che ha carpito. Poi gradualmente si marcia verso la luce, che progressivamente si conquisterà. Ma bisogna affrontare senza troppe precauzioni e racconti quel percorso, lasciandosi guidare dal suono del viaggio iniziatico dell’opera mozartiana. Una certa serenità sembra garantita alla fine del viaggio: penserà la mente di ogni spettatore/partecipante ad aggiustarsi in cuor suo l’avventura che ha attraversato, ripensare alle mille fonti sonore che l’hanno pungolato, ai sogni meravigliosi e consapevoli cui l’arte ci può ancora condurre. E del Flauto suona nel finale proprio l’Ouverture, perché una nuova avventura possa ricominciare.
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