Da dieci anni la Tunisia è considerata come l’unica realtà ad avere compiuto un’effettiva transizione democratica dopo lo scoppio della cosiddetta primavera araba. Sempre da dieci anni il paese della Rivoluzione della dignità e della libertà fatica a garantire gli standard minimi rivendicati dalla popolazione nel 2011: maggiori diritti economici, sociali e politici.

Lo esemplifica la visita di inizio maggio del ministro dell’Economia Ali Kooli a Washington per incontrare il Fondo monetario internazionale (Fmi). «Presenteremo all’Fmi un programma di riforme chiaro, realista e realizzabile», sono state le parole a La Presse de Tunisie di Kooli prima di partire. I negoziati sono appena iniziati ma i contorni di un possibile accordo pluriennale sono già individuabili: si tratta di un prestito di circa 4 miliardi di dollari legato a precise riforme economiche tra cui lo stop ai sussidi statali, un ingente intervento nel settore pubblico e la ristrutturazione di alcune aziende nazionali.

«Non dobbiamo dimenticare che queste sono le terze negoziazioni dopo il 2013 e il 2016 – è il commento di Ala Talbi, direttore esecutivo del Forum tunisien pour les droits économiques et sociaux (Ftdes) – sono ancora più pericolose delle precedenti visto lo stato attuale delle casse pubbliche, la fragilità del nostro sistema sanitario di fronte al Covid-19 e le difficoltà nell’applicare le misure di prevenzione».
La pandemia ha inferto un duro colpo all’economia nazionale. Oltre a un tasso di disoccupazione che da anni non scende sotto il 15%, senza considerare il settore informale, il 2020 ha portato in dote due importanti novità: una contrazione del Pil stimato all’8,9% e il raggiungimento simbolico di 100 miliardi di dinari (circa 30 miliardi di euro) di debito esterno, che si traduce nel 100 per cento del Pil.

Per questo l’Fmi, che si dice “pronto” ad aiutare la Tunisia, intende proporre la sostituzione entro il 2024 delle sovvenzioni ai beni di prima necessità con aiuti diretti alle famiglie. «Questa soluzione potrebbe essere più grave del problema da affrontare – è l’analisi di Clara Capelli, economista ed esperta di Medio Oriente e Nord Africa – i sussidi sono abbastanza diffusi. Scegliere le famiglie a cui dare contributi avrebbe delle ripercussioni per chi non si trova in una situazione di povertà estrema ma comunque di vulnerabilità».

L’altro punto in agenda a Washington è la riduzione del peso del settore pubblico. Al momento incide sul 17,4% del Pil, entro il 2022 l’intenzione è di passare al 15% con politiche di prepensionamenti e contratti part-time: «Mettere mano all’inefficienza della funzione pubblica è legittimo ma anche qui siamo di fronte a una contraddizione. Le assunzioni nel pubblico sono la conseguenza di un problema ben più ampio. A volte rappresentano l’unica soluzione possibile per mantenere alta la domanda interna», conclude Capelli.

Lo scenario politico, come quello economico, vive invece uno stallo che perdura da inizio 2021 quando il premier Hichem Mechichi, con l’appoggio del leader del partito di ispirazione islamica Ennahda e presidente del parlamento Rached Ghannouchi, ha dato il via a un rimpasto di governo. Il presidente della Repubblica Kais Saied ha rifiutato di rettificare questo cambiamento per dei casi sospetti di corruzione.

Lo scontro ha avuto delle forti ripercussioni sia sulle attività parlamentari, come lo stallo sulle votazioni per la creazione della corte costituzionale, sia a livello sociale; i tunisini sono ormai disillusi dalla situazione socio-economica del paese e non vedono nella classe politica attuale una soluzione ai loro problemi. L’epidemia di Covid-19 ha fatto il resto e il lockdown nazionale imposto dal governo dal 9 al 16 maggio – in concomitanza con l’Eid al Fitr, la festività che interrompe il digiuno alla fine del mese di Ramadan – è solo l’ultimo segnale di insofferenza palesato dalla società civile.

Solo nel mese di gennaio, che ha sancito il decimo anniversario della Rivoluzione della dignità e della libertà, l’Ftdes ha contato più di 1.500 movimenti protestatari, dalla capitale all’entroterra. I 12mila tunisini che hanno raggiunto le coste italiane nel 2020, numeri che non si vedevano da anni, sono lì a testimoniare le difficoltà strutturali del paese.