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Dalla piazza alla cella, il Rif non vuole tacere

Dalla piazza alla cella, il Rif non vuole tacereManifestazione a Rabat dopo la morte a Hoceima, nel Rif, del venditore di pesce Mouhcine Fikri – Efe

Marocco La repressione del governo ha messo fine a un anno di manifestazioni nella regione. Ma resta viva la rabbia per una disuguaglianza strutturale. La protesta si sposta in carcere: 35 prigionieri in sciopero della fame da oltre un mese

Pubblicato circa 7 anni faEdizione del 29 ottobre 2017

Ad Al Hoceima, una delle città principali della regione del Rif, non si protesta più. Le strade delle manifestazioni si sono svuotate. Gli slogan, sempre più rari, per giustizia e uguaglianza si sono trasferiti nei sobborghi di Imzouren o nelle piazze di Casablanca.

L’INDAGINE SULLA MORTE di Mouhcine Fikri – il pescatore ucciso nell’ottobre 2016 da un compattatore di rifiuti mentre tentava di recuperare i pesci requisiti e gettati via dalla polizia, nonché scintilla delle proteste – è stata insabbiata. I capi del movimento di protesta Hirak sono in carcere o sotto il controllo dei servizi di intelligence marocchino. Al Hoceima è stata costretta al silenzio.

Dopo chilometri di tornanti, lo storico capoluogo del Rif si presenta. Ripide colline circondano la città. Il mar Mediterraneo si apre davanti, unica via di fuga. Fuga dalla repressione della polizia, la povertà senza alternative e la corruzione dilagante.

«La crisi in Europa ha fortemente impattato su Al Hoceima – spiega Ghassan El Karmouni, giornalista d’inchiesta di Economie Entreprises – La regione dipendeva molto dalle rimesse dei marocchini immigrati nel Continente e dopo il 2008 c’è stato un calo nel flusso dei soldi».

Un flusso che nascondeva un male cronico: «La questione del Rif esisteva prima – continua El Karmouni – L’industria ittica, settore trainante ad Al Hoceima, è stata gambizzata e trasferita a Agadir, sull’Oceano Atlantico».

IL PROCESSO di de-industrializzazione ha coinvolto tutta la regione, «c’è stata una scelta politica precisa di spostare l’asse dal mar Mediterraneo all’Atlantico, puntando su Tangeri come hub industriale».

Le scelte politiche di Rabat seguono il modello Maquiladoras, già presente in molti Paesi dell’Est Europa, con la creazione di zone off-shore in cui aziende straniere possono delocalizzare la propria produzione.

«Il Marocco ha l’ambizione di divenire un vero e proprio attore regionale e ogni investimento e decisione devono essere di portata internazionale», aggiunge il giornalista di Economie Entreprises. Si legge in quest’ottica la scelta del governo nel 2015, durante l’accorpamento delle regioni, di spostare il titolo di capoluogo a Tangeri, privando Al Hoceima e la provincia di più di mille stipendi di funzionari pubblici e aggravando una situazione economica già precaria.

«C’È UN ALTRO ASSET che ha cambiato rotta – ci spiega Abdelhadi Gmira, segretario generale del Cgt, sindacato marocchino, dando il quadro completo – Il contrabbando, forte nella costa mediterranea del Marocco in passato, ha seguito la rotta dei migranti, spostandosi verso la nuova zona portuale sorta vicino a Ceuta e privando l’area, per quanto illegale, di un’altra fonte di entrata».

Ragioni a cui si aggiungono le conseguenze del terremoto del 2004 che ha sconvolto Al Hoceima e l’area circostante. «C’è stata una forte speculazione sulla terra, la ricostruzione è stata selvaggia e questo ha portato a un innalzamento dei prezzi e all’esproprio di numerosi terreni agricoli da parte delle autorità locali», conclude El Karmouni.

Ma la corruzione, bersaglio degli slogan delle proteste del movimento Hirak, non è relegata al solo Rif. «In Marocco le tangenti sono una pratica istituzionalizzata ed endemica – continua il segretario del Cgt – In questo Paese esiste una disuguaglianza dilagante, da una parte un’élite ricchissima e dall’altra una fascia della popolazione povera e molto numerosa che non beneficia degli investimenti dello Stato».

LE TENSIONI si accumulano soprattutto laddove i piani strategici sono venuti meno e il Rif si propone, come nel 2011 all’alba delle primavere arabe, aprifila di un movimento di protesta che riguarda tutto il Paese.

«Il movimento nato nel Nord è solo la locomotiva – prosegue Abdelhadi Gmira – Qui parliamo di bisogni e necessità primarie. Acqua potabile, salute, salari, lavoro: fino a che i problemi persisteranno, le manifestazioni non finiranno». E potrebbero contagiare altre aree disagiate e altri contesti di profonda disuguaglianza.

«Le istituzioni stanno cercando di marginalizzare il Rif – ci rivela Afnane, membro del comitato di supporto alle famiglie dei detenuti di Hirak – Lo fanno tramite i media e imponendo una narrativa in cui si considera l’area come un caso particolare».

Ma ad unire il nord al resto del Marocco basta il finestrino di un treno. Le periferie di Tangeri, Casablanca, Rabat o Fez riassumono una condizione generale. Un malessere sociale che nel Rif è stato acuito da politiche precise, ma che è ben conosciuto anche nel resto del Paese.

Intanto la protesta continua nelle carceri di Casablanca, dove sono stati trasferiti i 50 leader del movimento Hirak. Da ormai più di un mese è in corso uno sciopero della fame.

«SONO 35 I PRIGIONIERI politici che hanno smesso di alimentarsi – spiega Khalid El Bekkari, membro dell’Associazione dei diritti umani in Marocco – La loro condizione è gravissima ma, hanno detto alle famiglie in visita, non smetteranno finché non otterranno ciò che chiedono».

Nonostante le torture, denunciate dagli attivisti per i diritti umani, i detenuti continuano a lottare per le stesse istanze fatte dall’inizio delle manifestazioni: «L’indipendenza è una truffa, non c’è nessuna velleità di autonomismo: vogliono un’università, la creazione di posti di lavoro, un reparto oncologico e un rinnovato interesse dello Stato per la regione», conclude El Bekkari.

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